Milly Carlucci: «L’agonismo ti insegna a gestire la sconfitta, non lo insegniamo ai ragazzi per paura di traumatizzarli»

A Vanity Fair: «Lo vede Sinner? Pensi che sia finito e poi risorge e ribalta il risultato: dove ha trovato quella forza? Cos’ha dentro?»

Ballando con le stelle paolo belli Milly Carlucci

Mc Roma 06/10/2022 - photocall trasmissione TV ‘Ballando con le stelle’ / foto Mario Cartelli/Image nella foto: Milly Carlucci-Paolo Belli

Milly Carlucci si racconta a Vanity Fair partendo dalle sue origini e dalla sua famiglia

Papà generale e mamma insegnante. Che tipi erano?

«Due persone meravigliose. Ci hanno dato un’educazione al lavoro, alla serietà, ai valori morali, ma anche concetti non scontati per quei tempi».

Per esempio?

«Mio padre, generale, uomo all’antica, a me e alle mie sorelle Gabriella e Anna non ha mai detto che la cosa più importante fosse sposarci e fare una famiglia: ci ha sempre detto che prima di tutto dovevamo studiare e trovare la nostra indipendenza lavorativa ed economica, perché solo così nessuno ci avrebbe comandato e avremmo potuto scegliere un compagno di vita in libertà, e non per necessità».

Un femminista?

«Già, un femminista ante litteram, ma non lo ha mai saputo».

Se qualcuno glielo avesse detto?

«Si sarebbe molto meravigliato. Semplicemente voleva il meglio per le sue tre figlie».

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Era severo?

«Quando doveva esserlo, ma era anche dolcissimo. La persona più severa in famiglia era la mamma, detta la generalessa».

Milly racconta di essere stata un bambina sempre molto ubbidiente, almeno fino a un certo punto.

«Prima di tutto la scelta dell’università: dopo la maturità classica con 60 sessantesimi, i miei spingevano per Giurisprudenza, mi volevano magistrata, ma io mi sentivo morire all’idea di un lavoro così poco creativo e scelsi Architettura. Ma la vera disubbidienza è un’altra».

Racconti.

«Mentre studiavo e insegnavo in una piccola scuola di pattinaggio che mi permetteva di guadagnare un po’ di soldi, arriva l’occasione di lavorare in una tv locale, Gbr. Dopo pochi mesi, lì mi nota Renzo Arbore che mi vuole a L’altra domenica. Ci vado subito senza pensarci. Avevo quasi finito gli esami e mi avevano assegnato la tesi, decido di non laurearmi».

Perché?

«Avevo paura che i miei genitori mi costringessero poi a fare l’architetto».

Oggi le dispiace non aver preso quella laurea?

«Oggi sì, è l’unico dispiacere che ho nei confronti dei miei, gli avrei voluto dare questa soddisfazione. Per fortuna le mie sorelle hanno poi preso due lauree a testa, forse Gabriella ne ha tre».

La chiamava «la sorridente», fu colpito dal suo aspetto di ragazza sana, sportiva.

«Sono una sportiva nel cuore, venivo da anni di agonismo, che i miei mi avevano spinto a fare per temprare il carattere».

Ha funzionato?

«Sì, perché l’agonismo ti insegna non tanto a vincere, ma a gestire la sconfitta. Lo vede Sinner? Pensi che sia finito e poi risorge e ribalta il risultato: dove ha trovato quella forza? Cos’ha dentro? È quello che non siamo in grado di trasmettere ai ragazzi di oggi, che proteggiamo troppo e compatiamo, sempre spaventati di traumatizzarli».

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