Gravina non è De Laurentiis, preferisce la fuffa a una presa d’atto del proprio fallimento

Lavoro, dedizione, sudore, sacrificio, studio, applicazione, hanno consentito al Napoli di passare dal decimo posto allo scudetto. Gravina prova scorciatoie

Gravina figc Spalletti Figc

Db Milano 25/02/2019 - premio Giacinto Facchetti 'Il bello del calcio' / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Gabriele Gravina

Gravina non è De Laurentiis, preferisce la fuffa a una presa d’atto del proprio fallimento

“Uh mamma d’’o Carmine” sembra esclamare l’opera Silent Hortense di Jaume Plensa che in questi giorni troneggia nel suo pallore in piazza Municipio. Ma non è tutta arte quella che luccica, anzi: più luccica e meno è arte; più luccica e più si avvicina a quella che il filosofo Byung-Chul Han definisce “società levigata” per descrivere l’estetizzazione della vita propria dei nostri tempi. Tempi che tendono a scacciare le sofferenze per lasciare campo alla fatuità, al consumo: ingurgito e sputo like (o insulti) nello spazio di uno scroll.

E il calcio non è immune da questo imbarbarimento culturale che tenta di coprire il vuoto con le pailettes. La vicenda della Nazionale italiana lo dimostra: caduto il castello di illusioni spallettiane (massimo rispetto per l’uomo e per l’allenatore, ma quello del commissario tecnico non era proprio il suo abito) si è subito tentato di costruirne un altro con sir (o meglio sor) Claudio, per poi virare – dopo il no di Ranieri, prevedibilissimo per chi conosce la capacità persuasiva e distruttiva del “core” giallorosso – sul mito (appannatissimo) di Ringhio Gattuso.

Gravina dovrebbe avere il coraggio di farsi da parte

Ogni scelta è legittima purché sia accompagnata da un progetto sportivo, quello che in Italia manca dalla vittoria dei Mondiali del 2006 (gli Europei 2021 sono stati una parentesi felice ma casuale). E riproporre oggi alla guida degli azzurri i campioni di allora è pura fuffa, e ben “levigata”. Bisognerebbe avere il coraggio di dire: ragazzi il calcio italiano è in crisi, ricominciamo da zero, dalle giovanili, dai talenti che mancano da troppi anni; certo c’è il rischio enorme del terzo Mondiale consecutivo senza Italia, ma se non arriva una svolta di governance probabilmente ci sarà anche la quarta défaillance. Uscire dalla mediocrità non è facile in un Paese che spesso rivendica la mediocrità (basta seguire sui social certi ministri); eppure ci sarà qualcuno nei Palazzi dello sport italiano in grado di dire a Gravina che la sua gestione è stata un fallimento e che è venuta l’ora di farsi da parte?

Anche perché dubitiamo che il presidente della Figc possa avere uno scatto d’orgoglio, d’umiltà e di genio come quello di Aurelio De Laurentiis nell’estate 2024. Già, il Napoli di Conte, che lo scudetto l’ha vinto, oltre che per i 150 milioni di euro investiti, anche perché ha fatto della sofferenza una sorta di manifesto (tra molti mugugni). Il percorso dall’“amma faticà” alla parata trionfale sul lungomare, infatti, non è stato un caso; lavoro, dedizione, sudore, sacrificio, studio, applicazione sono il contrario della “società levigata”. Una novità, per Napoli. E soprattutto per l’Italia.

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