Pimenta: «I calciatori sono ostaggi dei club, in estate piangono. Il sistema deve cambiare»
L'intervista di The Athletic alla più importante procuratrice del pallone, che parla anche di donne: "Immaginate Messi appena vinto il Mondiale, se Infantino lo baciasse sulla bocca. È inconcepibile, no?"

Rafaela Pimenta si è rotta i tendini delle dita e del pollice giocando a pallone. Quando è andata dal medico ha detto: “Sono un procuratore di calcio”. Il dottore, scrivendo, ha risposto che “non è possibile”. “Perché?”. “Perché lei è una donna”.
“Me l’ha detto davvero!”, racconta Pimenta a The Athletic . “Non aveva cattive intenzioni ma mi guardava come se fossi venuta dallo spazio”.
Pimenta non è solo “un procuratore”, è forse IL procuratore. Tra i più potenti se non il più potente. Nata a San Paolo, è diventata avvocato e ha insegnato in diverse università prima di lavorare al fianco del defunto Mino Raiola. Oggi, l’azienda rappresenta alcuni dei più grandi nomi dello sport, da Erling Haaland in giù. Nell’intervista parla anche di calcio femminile e di questioni di genere.
“È molto difficile diventare un calciatore quando sei un uomo. È ancora più difficile diventare un calciatore quando sei una donna”. Pensa al caso Rubiales: “Immaginate se Messi avesse appena vinto la Coppa del Mondo e Infantino lo baciasse sulla bocca. È inconcepibile. Non succederebbe mai. Ma quando sei una donna devi avere paura che questo possa accadere. E se succede, forse ti si ritorcerà contro”.
“Parlando della sessualizzazione delle donne… Sono calciatrici. Sono atlete. Non sono Barbie calciatrici. Non sono lì perché sono belle. Hanno corpi fantastici, ma non è questo il punto e non dovrebbe esserlo. Non si tratta di essere sexy, si tratta di prestazioni in campo”.
“Non mi sono mai considerata inferiore agli uomini perché non è così che sono stata cresciuta”, dice. “Se sei brava, sei brava. Se non sei brava, non sei brava. Ho davvero sentito che le porte si stavano chiudendo quando sono arrivata in un posto, l’Europa, dove pensavo che normalmente le porte sarebbero state aperte. Ma all’epoca vedevo molte donne nei club. Facevano tutto il lavoro. Erano il supporto degli uomini nelle posizioni decisionali, ma non indossavano il cappello. Il cappello apparteneva agli uomini, il merito andava agli uomini”.
Gli uomini, però, l’hanno sostenuta. Pimenta cita l’ex amministratore delegato del Milan, Adriano Galliani, e il “super agente” Jonathan Barnett come figure di ispirazione.
Essere procuratori oggi: “Dal momento in cui pensi che riguardi te o i tuoi interessi, hai perso il controllo. Se pensi agli interessi del cliente e ti assicuri che pensi al calcio e non ai soldi, tutto va per il verso giusto. Faccio questo lavoro da 35 anni. E funziona sempre”. Descrive il mega-rinnovo di Haaland con il City “un’opera d’arte”. “Ho pensato, che bellezza. Eravamo così felici di aver raggiunto questo obiettivo perché non c’era tensione. C’era ambizione, c’era volontà. Come ci arriviamo? Ci si imbatteva in un vicolo cieco e poi in un altro, ma poi risolviamo questa parte, aggiungiamo questo livello al documento e alla discussione”.
“Oggi è diventato impossibile dire a un club: questo giocatore deve essere trasferito perché non è contento. Se non sei soddisfatto del tuo lavoro, questo dovrebbe essere il motivo principale per cui dovresti andartene”. Ma lei crede che “un club non possa più essere sensibile alle esigenze dei giocatori. Lo era una volta. È allora che grido a gran voce: abbiamo bisogno di regole per i trasferimenti”.
“Le regole in vigore oggi non sono sufficienti. Una norma che stabilisce che un giocatore può avere una clausola di trasferimento e poi un club viene da te e ti impone una clausola di trasferimento di 1 miliardo di euro non è una clausola di trasferimento. Trent’anni fa, se fossi andata da un dirigente o da un proprietario di un club e gli avessi detto: so che ti piace e che hai bisogno di lui, ma deve assolutamente andarsene, il suo tempo qui è finito, avrebbero trovato una soluzione. Oggi no. Questo è il prezzo. Se mi porti questi soldi, se ne va. Se non me li porti, l’allenamento inizia domani. Non va bene. So che la gente dirà: sono ben pagati, perché dovrebbero fare quello che vogliono? Non è questo il punto. Nella mia azienda, immagino che le persone siano ben pagate. Se vengono da me e mi dicono: voglio andarmene perché ho trovato un lavoro migliore, voglio vivere in un altro Paese perché mio marito o mia moglie sono stati trasferiti o mio figlio ha un problema a scuola e voglio andare in un’altra città, vanno e basta. Nel calcio, non è permesso. Questo sta diventando un problema enorme”.
Parla anche della sentenza, abbastanza dirompente, su Lassana Diarra: “Tutti hanno iniziato a chiedersi cosa ne sarebbe stato del sistema di trasferimenti. Nessuno vuole farlo implodere. Fa parte del gioco. Deve esistere affinché questa attività sia sostenibile per i club. Lo capisco, ma abbiamo anche bisogno di un po’ di aria fresca nel sistema per chiarire quali sono le regole di questo gioco, il gioco dei trasferimenti, in modo che i giocatori non finiscano ostaggi dei club. Con l’avvicinarsi della sessione estiva di calciomercato, so già che i giocatori sono molto nervosi: devo andarmene. Devo andarmene. Devo andarmene. Forse finiremo in estate, come ho già sperimentato, con i giocatori che piangono a casa, letteralmente piangendo perché non possono andar via”.