Bobo Craxi: «Portai Dalla a casa, Bettino era in canottiera»

A Sette: «Venditti dedicò un pezzo a papà, lo stroncai sull'Avanti, allora Antonello mandò il suo manager per capire se si fosse offeso»

Lucio Dalla Mario Merola

Db Milano 11/11/2009 - presentazione libro Lucio Dalla / Foto Daniele Buffa/Image nella foto Lucio Dalla

Il settimanale del Corriere della Sera, Sette, intervista Bobo Craxi, figlio di Bettino che racconta gli Studios al Castello di Carimate e degli intrecci incredibili della politica con la musica italiana. «Un giorno andai al Castello, di domenica, col treno da Milano. Bussai e mi aprì Lucio Dalla, che era da solo insieme a un fonico. Stava registrando Sonny boy, il pezzo che poi sarebbe finito nel suo disco ma con un altro titolo, Il parco della luna. Finita l’incisione, salimmo sulla sua Dyane verde e facemmo il percorso inverso, da Carimate a Milano. Arrivati sul pianerottolo di casa nostra in via Vincenzo Foppa, suonammo al campanello e ci aprì mio padre, in canottiera, perché tutto poteva aspettarsi in quella domenica meno che una visita di Lucio Dalla…

Rimasero a parlare per tutto il pomeriggio, credo soprattutto di arte. Fu poi grazie a Dalla che mio padre conobbe di persona Francesco De Gregori poco tempo dopo, in un ristorante sul Lungotevere, a Roma».

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Si ricorda il primo giorno in cui andò a Carimate?

«Non so dirle per certo se fosse la prima volta ma credo di sì. Ho il ricordo nitido di un giorno in cui entrai e c’era Ricky Portera degli Stadio che stava provando l’assolo di Futura di Lucio Dalla. Mentre al piano di sopra Ron faceva le prove del suo tour. Io e Rosalino facemmo amicizia a partire da quel giorno; al punto che, al tour successivo, presi parte anche io come chitarrista».

Bobo Craxi chitarrista in un tour di Ron? «La mattina andavo a scuola, la sera imbracciavo la chitarra e lo seguivo per le date del tour Al centro della musica, soprattutto in club e discoteche del Nord Italia. Ero una sorta di chitarrista fantasma; la qual cosa, a un certo punto, fece arrabbiare il manager Tobia Righi”».

La sua carriera da chitarrista fantasma si interruppe per questione burocratiche, ma «l’anno dopo, a Carimate, Antonello Venditti stava registrando l’album Sotto la pioggia. Nel disco, oltre a lui, suonavano Ron e tre quarti degli Stadio. Ci fu un problema su una traccia; nel senso che la parte di Ron, suonata con una dodici corde, andava rifatta. Non ricordo se Rosalino non ci fosse o se se n’era andato portando via i provini; sia come sia, quel piccolo pezzetto lo suonai io».

Venditti avrebbe dedicato a suo papà la canzone L’ottimista. “Con l’aria vagamente socialista / e poi non sbaglia mai”.

«Che stroncai con un elzeviro non firmato su l’Avanti, il quotidiano del partito. Antonello arrivò a chiedersi se mio padre si fosse offeso e mandò un suo manager a indagare». 

Suo padre era offeso?«Non che io ricordi. Tra l’altro, e sono passati più di quarant’anni, Francesco De Gregori e lui sono ancora oggi tra i miei amici più cari».

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