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Vagnozzi: «Staccarci dal tennis per un po’ di settimane non ci ha fatto male»

A Repubblica: «Di Sinner mi piace che non se la tira. Baggio mi ha detto una cosa soltanto: “Fallo stare bene”. La sua sia un’evoluzione del gioco di Djokovic»

Vagnozzi: «Staccarci dal tennis per un po’ di settimane non ci ha fatto male»
Italy's Jannik Sinner's Australian coach Darren Cahill (L) and Italian coach Simone Vagnozzi (R) watch him play against Russia's Daniil Medvedev during their men's quarterfinals match on day ten of the US Open tennis tournament at the USTA Billie Jean King National Tennis Center in New York City, on September 4, 2024. (Photo by Kena Betancur / AFP)

Simone Vagnozzi ha da poco festeggiato il terzo anno al fianco del numero uno al mondo Jannik Sinner, quando si sono conosciuti era il numero 10. Ha 41 anni, da giocatore è stato 161 del ranking, nel 2018 era l’allenatore che ha portato Marco Cecchinato in semifinale al Roland Garros. «Da tennista il mio grande limite è stato pensare che sarei stato più bravo ad aiutare gli altri che me stesso. Ai tempi viaggiavamo spesso soli. Mi piaceva stare sugli spalti e dare una mano agli amici durante i match», ha dichiarato ad intervista a Repubblica.

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Vagnozzi: «Di Jannik mi piace che non se la tira»

Come state vivendo questo periodo?
«Stiamo bene. Staccarci dal tennis per un po’ di settimane non ci ha fatto male. Il circuito è una giostra che continua ad andare, ci sono poche pause. Quando sei in cima ti viene richiesto il 100 per cento ogni settimana».

Voi siete stati costretti a scendere dalla giostra per tre mesi.
«Il tennis è una metafora della vita. Richiede capacità di adattamento in circostanze sempre nuove. Palline, superfici, continenti diversi. Noi non potevamo far altro che accettare quello che sarebbe arrivato, cercando di tirare fuori il meglio da questo stop».

Come definirebbe il vostro rapporto? È corretto parlare di amicizia?
«Viviamo insieme 24 ore al giorno in certi periodi dell’anno, è normale instaurare un rapporto che va oltre la professione. Ma serve equilibrio, è fondamentale non diventare troppo amici, perché l’amicizia impedisce di prendere decisioni importanti ma necessarie. È un compromesso dove non può prevalere l’aspetto tecnico, serve empatia. Siamo persone».

Guardando il vostro team nel box durante le partite sembra che abbiate imparato a trattenere le emozioni, come se il vostro compito fosse quello di trasmettere calma anche in mezzo al dramma. Quanto è difficile?
«I giocatori in campo hanno già i loro problemi, il nostro compito è non aggiungerne altri, dimenticarci delle nostre vite, trasmettere all’atleta fiducia e consapevolezza, in qualsiasi situazione di punteggio. Sacrifichiamo tanto, 35 settimane all’anno in giro per il mondo. Ma c’è una gioia profonda nell’aiutare qualcuno a raggiungere i propri traguardi».

C’è una scena emblematica. Australian Open 2024, prima finale Slam dell’azzurro, contro Medvedev. Il russo è in vantaggio, lei gli dice una frase e da quel momento la partita cambia. Da due set a zero, Jannik rimonta e conquista il titolo.
«Spesso appoggiamo un asciugamano sopra il microfono per non farci sentire. Quella volta gli ho dato un consiglio sulla posizione da tenere in risposta, volevo che cambiasse qualcosa, che fosse imprevedibile. Lui all’inizio non lo ha seguito. Però da lì il match è cambiato. Quando decidiamo di dire qualcosa al giocatore in campo dobbiamo cercare di stare dentro al suo corpo, comprendere in che momento si trova. Ci vuole coraggio. Di quel dritto lungolinea con cui ha chiuso la partita noi non abbiamo meriti, lì c’è tutto Jannik».

Quest’anno si interrompe la vostra collaborazione, Cahill smetterà di allenare. Qual è l’insegnamento più grande che le ha dato?
«Darren sa come comunicare con i giocatori, il suo linguaggio del corpo è molto efficace. Osservandolo credo di essere migliorato anche io».

Un litigio tra Vagnozzi e Sinner?
«Litigi non ce ne sono mai stati. Abbiamo avuto confronti, anche accesi. Mi ricordo il Roland Garros del 2023, secondo turno contro il tedesco Daniel Altmaier. Bisogna capire la tensione del giocatore, lì ho notato che pur avendo lottato fino alla fine si è molto lamentato, il body language era negativo. L’avversario ne ha approfittato. Nel tennis è importante non dare segnali, nessuno deve sapere cosa provi, nessuno deve sapere cosa proviamo noi. Quando scendiamo in campo indossiamo quella che io chiamo poker face. Abbiamo parlato a lungo di quell’episodio, non è più successo di vederlo così».

Quando Vagnozzi ha capito che la strada era giusta?
«Mai dubitato. Ma il clic è avvenuto a Pechino nel 2023, quando ha vinto contro Alcaraz e subito dopo con Medvedev. Lì gli ho visto fare delle cose mai fatte prima, le discese a rete soprattutto. Uno dei primi obiettivi che ci siamo dati riguardava proprio Medvedev, trovare il modo di batterlo».

Quali sono i campioni del passato che ritrova in Sinner?
«Io penso che la sua sia un’evoluzione del gioco di Djokovic. Mi sembra che si difenda come Nole ma che riesca a essere più aggressivo rispetto a lui».

Si riferisce al numero 2 del mondo Sascha Zverev?
«Sono convinto che Zverev vincerà uno Slam, almeno. È migliorato molto dopo l’infortunio alla caviglia. Ha fatto più passi in avanti da quel momento in poi che in tutto il periodo precedente».

In cosa può migliorare ancora Sinner secondo Vagnozzi?
«Dettagli. Quando l’ho conosciuto era un ottimo giocatore con poca visione tattica. Oggi ce l’ha, ha migliorato il servizio e la discesa verso rete. Può lavorare ancora su alcune variazioni sulla terra e diventare più sicuro quando scende a rete».

Vagnozzi quale dote apprezza di più in lui?
«Non si prende mai troppo sul serio, non si sente speciale. Insomma, non se la tira».

Come ha reagito alla notizia della positività al doping?
«È stato uno shock. Dopo aver ricostruito ciò che è accaduto ho detto a Jannik che dovevamo andare in giro a testa alta. Non aveva fatto nulla di sbagliato, chi ha letto i documenti lo sa. Non auguro a nessuno di vivere una situazione del genere».

Qualche settimana fa ha incontrato Roberto Baggio. Cosa vi siete detti?
«Mi piace incontrare i fuoriclasse, è utile per il mio lavoro capire come ragionano. A proposito di Jannik mi ha detto una cosa soltanto: “Fallo stare bene”».

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