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Quando Eto’o fu vittima dei razzisti a Saragozza. L’arbitro: «Sbagliai a non fermare la partita»

Al Mundo: «È il protocollo il problema. Se l’arbitro sospende la partita, viene sanzionato. Se avessi sospeso quel match, oggi non saremmo messi così»

Quando Eto’o fu vittima dei razzisti a Saragozza. L’arbitro: «Sbagliai a non fermare la partita»
Barcelona's Samuel Eto of Cameroon (C) argues with the referee Esquinas Torres after he suffered racist insults from the crowd during their soccer First Division soccer League match against Zaragoza at the Romareda Stadium in Zaragoza, 25 February 2006. At (L) teammate Dutch Mark Van Bommel. AFP PHOTO/CESAR RANGEL (Photo by CESAR RANGEL / AFP)

Liga spagnola, 2006, 25 febbraio, si gioca Saragozza-Barcellona. Samuel Eto’o è travolto dagli insulti razzisti dello stadio La Romareda. Vuole abbandonare il terreno di gioco. Il suo allenatore Frank Rijkaard e l’arbitro Esquinan Torres lo convincono a rimanere in campo. Dopo il caso Vinicius, caso che ha ormai assunto una dimensione internazionale, El Mundo ha intervistato l’arbitro di quel giorno che diciassette anni dopo ammette di aver sbagliato.

Perché è così difficile porre fine al razzismo negli stadi?

Perché la legge non funziona. Il protocollo in vigore in Spagna dal 2007 dice che, di fronte agli insulti razzisti, l’arbitro deve trasmettere alcuni messaggi al pubblico, quindi far rientrare le squadre negli spogliatoi per un po’ e infine, esaurite tutte le possibilità, sospendere la partita. In pratica, non si supera mai il primo passo. Perché? Perché l’arbitro che lo fa, sarebbe sanzionato.

L’arbitro non sarebbe appoggiato?

Credo di no. Con l’attuale protocollo, la gara sarebbe stata giocata. Ora tutti stanno facendo dichiarazioni, dichiarazioni e tweet, ma l’attuale protocollo è firmato dalla Federazione, dai club della Liga e dalla Federazione in modo che una partita non venga mai sospesa. Solo una volta in Spagna hanno fermato una partita, quando a Vallecas hanno chiamato Zozulia nazista, e furono i giocatori a sospenderla, non l’arbitro. E così che siamo messi.

Ci pensò a sospendere a Saragozza nel 2006 di fronte alle proteste di Eto’o?

Stavo pensando di seguire il protocollo. La prima cosa che dissi a Samuel fu che c’era un nuovo protocollo, che dovevamo dare una possibilità al protocollo. E mi rispose: “Che opportunità vuoi dare, se mille persone mi insultano!” Aveva ragione. I messaggi di al pubblico non funzionano ed è impossibile identificare mille tifosi. Era il mio ultimo anno come arbitro, avrei dovuto sospendere la partita quel giorno. Se l’avessi fatto, non saremmo come siamo oggi.

Come convinse Eto’o?

Lo convinse Rijkaard il suo allenatore. 

Cosa disse la Federazione sulla sua gestione in quel momento?

A loro non piaceva la mia gestione. La federazione a quel tempo proclamò che non c’era alcun problema di razzismo nel calcio spagnolo. Il giorno di Eto’o ricordo che il giocatore del Saragozza, Emerton, venne da me e mi disse che lasciando il campo anche lui. Mi disse che aveva giocato in tutta Europa e non aveva mai vissuto nulla di simile a quello che stava vivendo in Spagna. Ma niente, qui continuiamo a negare.

 

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