A El Mundo: «Cruyff aveva sempre ragione, mai una volta che abbia ammesso un errore. Mai prese decisioni a caldo: sono un nordico, freddo e razionale»

Su El Mundo una lunga intervista a Michael Laudrup. Ex centrocampista, il danese è stato uno dei migliori giocatori degli anni ’80 e ’90. Ha giocato con Lazio, Juventus, Barcellona, Real Madrid. Ha condiviso lo spogliatoio con grandi giocatori e con allenatori che hanno lasciato un segno eterno nel calcio, come Johan Cruyff. Commenta il Real Madrid sulla tv danese, è la sua vita da quando, cinque anno fa, ha iniziato a rifiutare tutte le offerte che gli arrivavano come allenatore.
«Se faccio un errore analizzando una partita ora, nessuno mi insulta o chiede di licenziarmi e, quando finisco, vado a casa a vedere i miei nipoti. Ne ho già quattro, ho bisogno di tempo e non me ne è rimasto molto».
Quanti calciatori con più classe di Michael Laudrup ha visto Michael Laudrup?
«Cos’è la classe? È ovvio che ci sono calciatori che ti colpiscono perché fanno cose che gli altri non fanno, ma non tutto ciò che è bello è buono. Beh, non ero male. Si diceva che vedessi degli spazi dove inserire passaggi che non esistevano, ma non è vero. Almeno, non proprio. Perché per un grande passaggio ci vogliono due giocatori: quello che dà la palla e quello che capisce che la darai a lui. Se metto un passaggio meraviglioso tra sei avversari, ma il mio compagno non capisce le mie intenzioni, sembro un pazzo».
Come funziona quel dono di vedere i passaggi che gli altri non fanno?
«Significa vivere in anticipo. Quando ho raggiunto il mio massimo livello di comprensione del gioco, sapevo tutto ciò che sarebbe successo due secondi prima che accadesse, quando ricevevo la palla avevo già in testa come gli altri si sarebbero mossi e quali opzioni di passaggio avrei avuto. Nell’élite non hai il tempo di guardare cosa sta succedendo perché se perdi un secondo, è finita. Sapevo cosa avrei fatto prima di ricevere palla».
Da qui il suo famoso passaggio no-look.
«Sembrava bello, ma non era un ornamento, quindi ingannava i difensori. Mi dicevano che ero pazzo, ma dettagli del genere vengono quasi sempre per necessità, non per capriccio».
Laudrup parla di Johan Cruyff, con il quale ha avuto un rapporto di amore-odio.
«È di gran lunga l’allenatore che mi ha influenzato e insegnato di più, ma anche quello con cui ho discusso di più. C’era un problema di base: Cruyff aveva sempre ragione. Sempre. Non una volta l’ho visto riconoscere un errore. Questo mi ha fatto disperare, ma poi… Sapeva come spiegare le cose come nessun altro, concetti molto complessi in 15 secondi. Aveva un’intelligenza superiore».
Cruyff accusava Laudrup di non essere costante.
«Mi infastidiva molto perché conoscevo Cruyff come calciatore. Una volta gli ho risposto di ricordare com’era, che era stato molto più irregolare di me. Lo infastidiva, ma era vero».
Dal Barcellona, il passaggio al Real Madrid.
«Per due anni sono stato il ragazzo più odiato di Barcellona».
Perché ha scelto Madrid sapendo che avrebbe fatto male al Barça?
«Perché ho compiuto 30 anni, non volevo tornare in Italia, l’Inghilterra aveva ancora un calcio troppo fisico, la Bundesliga era noiosa… Tutto quello che mi rimaneva era la Spagna e Madrid mi voleva. E’ stata una decisione semplice a livello personale, davvero. Inoltre, mi è piaciuta la sfida. Quando sono arrivato a Barcellona, il Madrid aveva vinto cinque campionati di fila. Quando sono partito per Madrid, il Barça ne aveva vinti quattro. In entrambi i casi, abbiamo cambiato questo. Sono arrivato a Barcellona e Madrid secondo e li ho fatti campioni».
Non c’era una parte di vendetta? Laudrup:
«No, davvero. Capisco l’odio dei tifosi, non ho rancori, ma la prima notte in cui sono tornato al Camp Nou è stato molto spiacevole a livello umano: gli sguardi, gli insulti… Dopo cinque anni lì, quel trattamento mi ha fatto molto male, ma ricordo le parole di Valdano alla fine: “Michael, oggi ho capito quanto ti amavano qui”. Quella frase mi ha aiutato a sopportare».
Qual è la grande differenza tra Madrid e Barça? Laudrup:
«La mentalità. Il Madrid ha la consapevolezza costante di essere il migliore e così il gioco è fatto. Questo è ciò che rende una grande squadra. Il Barça era un grande club, ma non era una grande squadra. Troppi dubbi e complessi».
All’età di 32 anni, Laudrup decise di non rinnovare e andare in Giappone. Gli chiedono perché.
«Ero mentalmente stanco del calcio. Un nordico come me che vive da 13 anni in Italia e Spagna… Mi piace la discrezione, la tranquillità e la verità è che non si può mai andare da nessuna parte, le persone sono sempre alla ricerca di te. Stava diventando pesante. Inoltre, Capello è venuto a Madrid con un altro tipo di calcio che non mi ha attratto ed al quale non ero adatto. Ho sempre saputo come andarmene in tempo».
Avevi un carattere così forte e particolare come si diceva? Laudrup:
«Suppongo di sì, ma non sono mai stato conflittuale. Avevo personalità, ero riflessivo e ho difeso le mie idee di fronte a chiunque. Ho preso decisioni insolite e drastiche: lasciare Juve, Barça e Madrid con offerte di rinnovo, non giocare a Euro ’92… Suppongo che la maggior parte dei calciatori non l’avrebbe fatto, ma non ho mai preso una decisione importante a caldo. Sono un nordico serio, freddo e razionale».
Laudrup conclude:
«Torniamo al calcio e alla fortuna. Quando si tira verso la porta, a volte la palla entra e a volte si perde, anche se hai fatto lo stesso colpo. Fa parte del gioco e della vita. Tiro un bilancio molto positivo della mia carriera. Cambierei qualcosa? No, perché ho tirato molto in porta e la maggior parte delle volte la palla è entrata. Tutto sarebbe potuto cambiare di pochi millimetri, nel bene e nel male, e nel dubbio, rimango così».