«Il calcio non ha e non vuole avere un sistema indipendente di rating per i calciatori»
Gordon Gekko analizza cosa emerge realmente dal processo Juve per le plusvalenze: «La confusione consente ampia flessibilità di manovra sui bilanci»

Mg Bergamo 18/04/2021 - campionato di calcio serie A / Atalanta-Juventus / foto Matteo Gribaudi/Image Sport nella foto: Arthur
Sui social monta la protesta sul processo alla Juventus. Il mantra delle ultime ore è il seguente: “possibile che la procura federale si basi su un sito amatoriale per stabilire se una plusvalenza è falsa?” Al netto delle esagerazioni partigiane, la domanda ci sembra legittima. E siccome di finanza non ne sappiamo molto, abbiamo cercato il nostro esperto Gordon Gekko.
«Mi stai chiamando per la Juve?». Eh, eh, in effetti sì ma in particolare vorremmo capire meglio questa storia di Transfermarkt che sembra delegittimare l’impianto accusatorio.
«A dire il vero l’indagine poggia su un castello probatorio piuttosto ampio e diversificato, ma in effetti il punto, se non dirimente è quantomeno pertinente».
Quindi chi lamenta l’attendibilità del sito amatoriale tedesco ha ragione?
«Direi di sì, nel senso che quelli di Transfermarkt, per loro stessa ammissione, sono valori buttati li un po’ a caso, che poggiano su opinioni di “football entusiast”, li chiamano così, e qualunque cosa voglia dire mi sembra una definizione lontana dal profilo di un analista finanziario. A mio parere però il punto è un altro. Agenzie indipendenti che forniscono segnali di rating di aziende e asset esistono da oltre cento anni in tutti i comparti industriali, tranne che nel calcio. A voler essere precisi alcune squadre sono sottoposte a rating: sono quelle quotate in borsa, 20 sulle oltre 1.400 società calcistiche professionistiche della galassia Fifa. Ora la domanda non è perché si usi un sito amatoriale (in assenza di altro o di meglio si sceglie il meno peggio) ma piuttosto perché non esista un sistema di rating oggettivo e indipendente dei calciatori, ovvero dell’unico asset dei club di calcio (esclusi il brand e lo stadio per quei pochi che lo posseggono).
E le risposte possibili sono solo due: la prima è che nessuno ci ha mai pensato, la seconda invece è che a molti non conviene perché l’arbitrarietà dei prezzi è fonte di fruttuose rendite di posizione di alcuni (leggi procuratori, ndr) e una ampia flessibilità di manovra sui bilanci (vedi false plusvalenze)»
Ma assodato che una valutazione oggettiva dei calciatori serve al sistema, chi dovrebbe applicarla al calcio?
«Innanzitutto una precisazione: possiamo chiamarlo per semplicità calciatore ma l’asset da valutare è il “contratto residuo dei diritti di sfruttamento delle sue prestazioni sportive” che a tutti gli effetti è un asset intangibile dal valore misurabile. E il punto non è come, esistono cento e più anni di prassi metodologiche applicabili (con i debiti accorgimenti, poi magari ne riparliamo), ma il chi»
Appunto, chi?
«Beh, in teoria chiunque. Non esistono vincoli in tal senso, è una questione di competenze, strumenti e credibilità. Occorrono molti dati di buona qualità e un set diversificato di competenze giuridiche, economiche e finanziarie. Io una mia idea me la sono fatta ma ne parliamo un’altra volta, ora devo andare perché apre la borsa di New York… Il denaro non dorme mai!»