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“Acarnesi stop the war”, il contadino ateniese Diceopoli diventa un coltivatore di friarelli vulcanici

A Pompei, la nuova creatura pseudo-aristofanesca di Marco Martinelli. Protagonisti 120 attori-figuranti delle scuole superiori del vesuviano 

“Acarnesi stop the war”, il contadino ateniese Diceopoli diventa un coltivatore di friarelli vulcanici

Abbiamo visto la prima di “Acarnesi stop the war” – stasera (28 maggio) alle 21 al Teatro Grande di Pompei l’altra singola data – la nuova creatura pseudo-aristofanesca di Marco Martinelli – che si fa affiancare come vice-registi da Valeria Pollice e Gianni Vastarella del collettivo “LaCorsa” – con le musiche etniche di Ambrogio Sparagna e le luci di Vincent Longuemare.

Martinelli si ispira alla vicenda del contadino ateniese Diceopoli e lo trasforma in Giustino, un coltivatore di friarelli vulcanici, con 120 attori-figuranti delle scuole superiori del comprensorio vesuviano protagonisti di questa riscrittura; del resto Aristofane scrisse questa commedia a 18 anni e meno di quest’età hanno i ragazzi coinvolti.

Gli ateniesi di Martinelli si esprimono in italiano e nello slang giovanilistico della loro terra – e non nell’attico di Aristofane – ma la sostanza resta miracolosamente immutata. Se il primigenio Diceopoli aveva difficoltà a fare sentire la sua voce di tregua nella Pnice, nella guerra contro gli spartani, anche un triplo Giustino fa fatica, ma entrambi dimostrano che si può giungere ad una tregua familiare – complice Anfiteo – che influenzi anche i prezzolati ministri della guerra. I ragazzi delle scuole superiori di Pompei, Torre del Greco e di Castellammare di Stabia sono un fluido potente contro l’assurdità della guerra: chissà forse è da questa commedia che anche resistenti come Santoro hanno preso il là per la loro azione di testimonianza. Ma forse una controproposta di pace contro la  naturale guerra capitalistica – cfr. Emiliano Brancaccio, “La guerra capitalistica (Mimesis edizioni)” – potrà partire solo dalla invida aetas della gioventù.

Tutti bravi i giovani attori sia nelle coreografie guerresche che nei balli di pace: la posse della festa è forse l’unica bolgia finale.

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