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Panatta: «Prendevo in giro Minà perché era pigro, ma non si arrabbiava mai. Grazie a lui intervistai Castro» 

A La Stampa: «Era rassicurante, riusciva a fare quello che gli altri non pensavano nemmeno. Le sue interviste non erano tecniche, gli interessavano le persone».

Panatta: «Prendevo in giro Minà perché era pigro, ma non si arrabbiava mai. Grazie a lui intervistai Castro» 
An Milano 17/10/2013 - presentazione del dvd 'Maradona - Non sarò mai un uomo comune' / foto Andrea Ninni/Image Sport nella foto: Gianni Mina'

Adriano Panatta ricorda Gianni Minà in un’intervista rilasciata a La Stampa. In particolare, parla della finale degli Internazionali d’Italia al Foro Italico, nel 1976. Panatta affrontava Guillermo Vilas. Minà era presente. Si avvicinò a Panatta con il microfono in mano e gli chiese, in diretta tv, durante un cambio di campo: «Adriano come ti senti?».

Panatta commenta:

«Oggi una cosa del genere sarebbe impossibile. Per un giornalista è diventato quasi impossibile fare un’intervista normale a un giocatore, figuriamoci entrare in campo durante la partita. Ci sono come degli sceriffi: se ti avvicini ti arrestano. Gianni era così, riusciva a fare quello che gli altri non pensavano nemmeno».

Panatta racconta:

«A quei tempi eravamo già amici, cenavamo spesso insieme, quindi in realtà vedermelo spuntare vicino non mi diede neanche fastidio, anche se in quel momento stavo perdendo. Magari ad un altro avrei dato una racchettata in testa… Ci provò poi una seconda volta, e allora lo fermarono. Quindi credo che rimanga un episodio unico, nella storia del tennis e forse dello sport. E irripetibile».

A Minà, dice Panatta, era impossibile dire di no.

«A Gianni, del resto, che volevi dirgli? Era amico di tutti. A quei tempi ci trovavamo spesso insieme, a casa sua, con noi c’erano Gianni Boncompagni, Franco Bracardi, Mario Marenco, Renzo Arbore, erano serate molto divertenti».

Panatta lo descrive:

«Gianni era, soprattutto, una brava persona. Mai malizioso, come i giornalisti, anche per mestiere, a volte devono essere. Mai sopra le righe. Non inseguiva lo scoop per lo scoop; piuttosto cercava la storia, puntava a interpretare
i sentimenti di chi aveva davanti. Il suo modo di fare era rassicurante, per questo riusciva a metterti sempre a tuo agio».

Sulle interviste di Minà:

«Le sue non erano interviste tecniche, non parlava di tattica, di colpi. Gli interessavano le persone, i risvolti umani e psicologici».

Giocava a tennis?

«No, a tennis non giocava: diciamo che non aveva proprio il fisico e l’attitudine dell’atleta. E poi era pigro, non faceva sport e per questo lo prendevo in giro. Ma non si arrabbiava mai».

Panatta racconta di quando, grazie alla conoscenza di Minà, riuscì ad intervistare Fidel Castro.

«Una volta, ai tempi della motonautica, andai a Cuba per una gara del mondiale. A quei tempi lavoravo per Tele
Monte Carlo, la Rete 7 di oggi. Facevo i servizi per il telegiornale e alla gara d’esordio si presentò Fidel Castro. Ci salutò tutti, poi stava per montare sullo starter, la barca che dà l’avvio alle gare. Mi feci coraggio e da lontano gli dissi: “Comandante, sono un amico di Gianni Minà…”. Castro si fermò, mi guardò e mi sorrise: “Gianni Minà, certo. Allora vieni, vieni con me…”. E ottenni l’intervista». 

 

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