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Massimo Ranieri: «Ho iniziato a lavorare a 7 anni. Vivevamo in 10 in una stanza con un solo cesso»

Al CorSera: «Il mio impegno è sempre stato quello di far star bene i miei genitori e i fratelli. Affrontare la mannaia dell’affitto, del piatto a tavola, risolvere i debiti».

Massimo Ranieri: «Ho iniziato a lavorare a 7 anni. Vivevamo in 10 in una stanza con un solo cesso»
Sanremo (Im) 04-08/02/2020 - 70° Festival di Sanremo / foto Pamela Rovaris/Image nella foto: Massimo Ranieri

Sul Corriere della Sera un’intervista a Massimo Ranieri in cui ripercorre la sua vita lavorativa, iniziata prestissimo, quando aveva 7 anni. Per necessità.

«Ho iniziato a lavorare a 7 anni, facendo tutti i mestieri possibili: il garzone, il barista, il panettiere, e poi mi esibivo con la mia vocina nei ristoranti e le mance erano preziose… insomma, mi arrangiavo perché in casa eravamo tanti: 8 figli più due genitori, 10 persone in una sola stanza. In fondo al letto grande di papà e mamma, dormivamo io e mio fratello, poi c’erano tre lettini per le sorelline femminucce… e poi c’era un cesso. Quel bambino di tanto tempo fa ogni tanto bussa alla mia porta quando non ho tanta voglia di lavorare. Mi dice: forza, muoviti, vai a fare le serate… È lui che mi dà la spinta a proseguire e gioca con i miei spettacoli, i viaggi, gli alberghi, gli applausi, gli autografi…».

Per dedicarsi alla carriera, racconta Ranieri, ha trascurato le donne.

«Come dar torto a una donna che ti lascia perché io penso solo al lavoro e si sente trascurata? Ma il mio impegno è sempre stato quello di far star bene i miei genitori, i fratelli, le sorelle… il dover affrontare la mannaia dell’affitto, del piatto a tavola, del risolvere i debiti familiari… Questa è la mia vita, un cammino dove speri che ci sia sempre il sole, ma arrivano le nuvole, la pioggia, e se non riesci a ripararti ti bagni… poi torna il sole».

Papà Umberto e mamma Giuseppina erano contenti di avere un figlio artista? Ranieri:

«Mamma non ci credeva, era una donna con i piedi per terra. Papà mi incitava a provarci, aveva intuito il mio potenziale, anche perché da ragazzo suonicchiava la tromba, e sono certo di aver ereditato l’amore per la musica proprio da lui, dal suo dna. Però la volta che firmai il mio primo contratto, a soli 12 anni, con una casa discografica, a momenti sviene… per le 300 mila lire che mi avevano dato come acconto. Lui guadagnava a malapena 30 mila al mese! Entrammo in ascensore e quando spinse il pulsante per scendere, gli cedettero le gambe. Inoltre non sapeva dove nascondere quel pacco enorme di soldi: se li infilò dentro la tasca interna della giacca, era talmente rigonfia, che sembrava una tetta… Temeva lo rapinassero».

 

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