A Universo Valdano: «La gente dovrebbe sperimentare quello che trasmette quando parla. Come lo guardano i suoi compagni, con quanta ammirazione».
L’allenatore dell’Argentina campione del mondo, Lionel Scaloni, ha rilasciato un’intervista a Universo Valdano in cui è tornato a parlare dei giorni trascorsi in Qatar e soprattutto di Leo Messi e della sua leadership in Nazionale.
«Quando è arrivato in Nazionale avevamo giocato 8 o 10 partite con lui. Quando è arrivato ha già iniziato a parlare nello spogliatoio, sembrava a suo agio. È un leader del calcio, si vede, quando parla dice le parole giuste. E quello che trasmette ai suoi compagni di squadra non l’ho mai visto, non solo in un calciatore, in nessuno. È difficile, lo posso assicurare: la gente dovrebbe sperimentare quello che trasmette quando parla. Come lo guardano i suoi compagni, con quanta ammirazione… è una cosa molto difficile da spiegare».
Adesso Messi sembra si diverta. Scaloni:
«Gli hanno messo addosso uno zaino di cui non avrebbe dovuto occuparsi. Non è stata colpa sua: l’Argentina ha raggiunto alcune finali, si sono persi per piccoli dettagli e tutti hanno detto che è stato un fallimento… C’era da bandire tutto questo e pensare solo al calcio. E quando pensi solo al calcio, questo è il massimo».
Come lo hai convinto? Scaloni spiega:
«La parola chiave è che si diverte in campo. La prima cosa che gli abbiamo detto quando abbiamo preso in mano la squadra, che lui non c’era, non voleva venire, è stata ‘ti divertirai, penserai solo al calcio. Ti inseriremo in una squadra con la quale ti sentirai a tuo agio”. È stato facile perché è felice in campo, si diverte a indossare la maglia della nazionale, come può non essere felice?».
Sulla Copa America in Brasile:
«Gli è piaciuta molto e soprattutto si sentiva a suo agio giocando con i suoi compagni di squadra. La sensazione, quando sei accanto a lui, è che non devi parlare. Devi rimanere te stesso. De Paul ha continuato ad essere lo stesso e si trova bene con lui, Paredes, i giovani, gli hanno fatto domande che gli altri non gli fanno…».
Può giocare un sesto Mondiale?
«Sapere com’è, che sta bene in campo e con la maglia della Nazionale… L’età è un handicap, ma averlo in gruppo genera altro… io lo lascerei lì, poi si vedrà».
Scaloni parla anche del suo passato al Deportivo.
«Abbiamo vinto poco. Conservo quel ricordo con grande affetto e per me è stato il massimo come calciatore e come persona. Sono arrivato a 19 anni e sono partito a quasi 30. La Galizia è speciale per gli argentini, ci accoglie e ci sentiamo meno lontani dalla nostra terra».
Continua:
«Eravamo una buona squadra: Tristán, Luque, Mauro Silva, Valerón, Fran, Djalmijnha… Se avessimo creduto di essere così forti avremmo vinto di più. Soprattutto quella semifinale contro il Porto. Tornammo da Porto in autobus, due ore e mezza a La Coruña. Avevamo pareggiato 0-0 e avevamo la sensazione che fosse finita, ma non era così. Alla fine, il Porto aveva già esperienza. E Mourinho come allenatore. Quella squadra avrebbe dovuto vincere quella Champions League, non ho dubbi. E alla fine l’ha vinta il Porto, perché sapeva per cosa giocava».