«Per l’Italia il razzismo non è un problema, è uno sfottò» (Le Parisien)

Interessante analisi, anche storica, sul quotidiano francese. Gli abiti del Ku Klux Klan a Verona, i casi Egonu e del rugbista Traoré

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Torino 05/09/2022 - campionato di calcio serie A / Torino-Lecce / foto Image Sport nella foto: Samuel Umtiti

L’Italia è un Paese razzista e non fa niente per risolvere il problema. Le Parisien torna sui cori razzisti dei tifosi della Lazio contro Umtiti e Banda, durante Lecce-Lazio.

Il quotidiano francese intervista, sul tema, Sébastien Louis, uno storico specializzato sui temi legati alle tifoserie. È l’autore di “Ultras, gli altri protagonisti del calcio”.

«Il razzismo e gli atti xenofobi negli stadi italiani non sono una novità, esistono da quattro decenni».

Il primo incidente razzista registrato in Italia avvenne il 21 novembre 1982: durante una partita a Verona tra Hellas e Cagliari, un giocatore peruviano della squadra avversaria (Uribe, ndr) fu accolto con uno striscione razzista e lanci di banane. Da allora, gli incidenti si sono susseguiti spesso. Perché questo accade in Italia più che altrove? Per Louis l’Italia è semplicemente un Paese razzista.

«C’è una tolleranza in Italia per le idee neofasciste. La prova migliore è l’elezione di Giorgia Meloni alla guida del governo italiano».

Le Parisien ricorda anche un altro episodio:

Il 28 aprile 1996. Durante il Derby di Verona, gli Ultras dell’Hellas esibirono gli abiti del Ku Klux Klan e appesero un manichino nero per protestare contro il possibile  trasferimento di un giocatore nero al loro club, con uno striscione: “Al negro possiamo far pulire lo stadio”. Perché questo accade allora in Italia più che altrove?

Sul tema interviene anche Pippo Russo, sociologo dell’Università di Firenze.

«Il razzismo era presente prima della Meloni, ma naturalmente il fatto che il nostro Primo Ministro sia apertamente legato a un’eredità razzista e fascista aiuta le persone a esprimere i loro comportamenti razzisti più liberamente. È una sorta di legittimazione di comportamenti radicali e razzisti. Siamo diventati solo di recente un paese di immigrazione e non abbiamo ancora affrontato realmente il problema del razzismo. Banalizziamo questo fenomeno, ed è esacerbato negli stadi. Siamo semplicemente in ritardo».

Louis si sofferma sulla cultura calcistica italiana:

«C’è una parola in italiano che la riassume, è sfottere. Significa prendere in giro. Solo per confondere l’avversario. Possiamo usare tutte le parole che vogliamo, senza connotazioni politiche. I tifosi italiani spesso si rifugiano dietro lo sfottò» per giustificare il razzismo.

E il razzismo non si limita al calcio, come dimostra la vicenda che ha coinvolto il rugbista italiano Cherif Traoré e prima ancora il caso Paola Egonu, nella pallavolo.

 

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