Grignani: «Sono bello, che posso farci? La mia musica è stata considerata stupida per questo»

Al CorSera: «Non vedo mio padre da 15 anni. Quando andò via di casa ho sofferto. Ha sbagliato ma oggi mi chiedo: lo perdono o continuo ad accusarlo?»

grignani

Sul Corriere della Sera un’intervista a Gianluca Grignani. Sarà al Festival di Sanremo con “Quando ti manca il fiato”, una canzone in cui racconta una telefonata in cui suo padre gli chiese: «tu verrai o no al mio funerale?». Nell’intervista parla di quella telefonata.

«Stava bene ed è ancora in vita anche se non ci vediamo da almeno 15 anni. Vive in Ungheria. Non ha ancora sentito la canzone e non vorrei che gli scoppiasse il cuore…».

Che effetto le fece quella chiamata? Grignani:

«Sarà stato una decina di anni fa, era un periodo in cui mi si era rimarginata la ferita provocata della separazione
dei miei che era avvenuta quando avevo 18 anni. Era stata una separazione non gestita, ma non fra padre e madre
quanto fra padre e figlio. Lui se ne è andato in maniera poco consona: ha messo in mezzo me. Mi sono sentito solo».

Si sente simile o diverso? Grignani:

«Ho paura di essere simile a una persona che ha fatto errori e che non so se dovrei accusare o scusare. Allo stesso
tempo mi manca la sua immagine. Quando mi incontro con l’altro suo figlio sento di avere delle radici . La differenza è che io so dire ti voglio bene e so abbracciare, i miei genitori non lo facevano».

Il suo primo Sanremo fu nel 1995, presentò “Destinazione Paradiso”. Era una nuova proposta.

«Prima di iniziare questa carriera ero convinto che se il pubblico non mi avesse capito avrei mollato. Arrivai al Festival dopo la pubblicazione di “La mia storia fra le dita” che era stata capita ma non come volevo io: ebbe inizio quell’odissea che tutti dobbiamo attraversare per essere l’Ulisse della nostra stessa vita».

«Destinazione paradiso» fu un successo: riuscì a vendere due milioni copie nel mondo. Grignani racconta:

«Appena sceso dal palco mi accorsi che tutto era una stronzata, che il rock non esisteva come lo vedevo io che avevo gli occhi puri pieni del messaggio del grunge e di Cobain. Tutto era falso negli anni 90, mi sentivo diverso e soffrivo: La fabbrica di plastica fu il mio grido di vendetta».

Le pesava essere un sex symbol?

«Non ci posso fare nulla se sono bello (ride)! Beatles e Stones non sono stati massacrati per il loro aspetto, la mia
musica invece è stata presa e considerata stupida».

Ha compiuto da poco 50 anni: come ha vissuto il traguardo?

«Devastante. Non mi sento un cinquantenne ma ne ho tutte le paranoie. Non sono più un ragazzino, arriva la maturità del padre ma è una biga che non so ancora guidare».

C’è stato un momento autodistruttivo nella sua carriera. L’abbiamo vista accasciarsi sul palco nel 2009 a Viggianello (Potenza)… Ha mai avuto paura di perdersi?

«Ho più paura adesso. Allora vincevo, rimanevo sempre a galla. Ma quella volta merita di essere raccontata: il giorno prima eravamo a Reggio Calabria in un hotel dove una famiglia della ’ndrangheta faceva festa. Ci scambiarono per altri e finì male, ci arrivò un tavolo in testa. Il giorno dopo l’agenzia che mi seguiva allora mi fece salire sul palco lo stesso. Mi accasciai apposta, non potevo accettare un trattamento del genere. Poi aggiungo che non sono mai stato un santo e non lo sarò mai».

Correlate