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Accorsi: «Scappai a Parigi perché in Italia mi proponevano 40 copioni insieme»

Al CorSera: «Ho esordito a20 anni con un book fotografico per Avati. Erano scatti al mare di quando ero bagnino. Ho avuto la mia gavetta»

Accorsi: «Scappai a Parigi perché in Italia mi proponevano 40 copioni insieme»

Il Corriere della Sera intervista Stefano Accorsi, attore protagonista di un episodio di «Call My Agent», serie in onda su Sky (e Now) diretta da Luca Ribuoli e scritta da Lisa Nur Sultan. Dice di rivedere molto se stesso nel personaggio che interpreta.

«Ero così fino a 10 anni fa, quando sono tornato in Italia dalla Francia. L’ho vissuta quell’ansia. Ero andato a Parigi perché a Roma mi proponevano 40 copioni insieme, avevo bisogno di un distacco, non ero più lucido. Mi rappresentava Dominique Besnehard, produttore della serie originale francese che si intitola Dieci percento (la percentuale degli agenti), e nell’episodio appare in un cameo. Tornai in Italia, al punto di partenza, mi mancava quell’adrenalina, il buon caffè, la famiglia… Zalone in Quo vado? descrive bene la semplicità della vita dopo che si era trasferito in Norvegia, una dimensione estranea».

Ha avuto progetti che si sono sovrapposti? Accorsi:

«Mi proposero nello stesso momento L’ultimo bacio di Gabriele Muccino e Le fate ignoranti di Ferzan Özpetek. Ero disperato, volevo farli entrambi. Pensavo di scegliere il ruolo più distante da me, per Ferzan, e volevo anche l’altro.
Gabriele me ne disse di ogni. Facendo arrabbiare tutti, riuscii ad anticipare e posticipare i due progetti».

I suoi primi passi?

«L’esordio fu a 20 anni per Pupi Avati. Il mio book fotografico erano degli scatti al mare di quando facevo il bagnino. Ho avuto la mia gavetta. Venivo dalla piccola borghesia provincia emiliana, papà tipografo, mamma segretaria in una scuola pubblica. Il lavoro era quella cosa lì, venivo da una famiglia normale. Il cinema è stato un salto nel buio, non avevo nessun tipo di conoscenza. A Roma a 24 anni ho avuto le mie notti brave, ma non era quello che volevo, mi ha salvato il mio pratico istinto emiliano».

Cos’era il cinema per lei da adolescente?

«Era un modo per inventarmi film nella mia testa. Amavo Sergio Leone, i suoi western inventati in Spagna, e poi eroi e antieroi che lo sono loro malgrado. Se penso a un suo celebre film, il buono non è buono fino in fondo, il brutto è cattivo e il cattivo ha una sua sensibilità».

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