Apparve al Camp Nou per Polonia-Spagna e venne inquadrato dalla tv polacca che solo a fine primo tempo utilizzò immagini di repertorio per occultarlo
La censura sportiva è nata con Solidarność
La censura sportiva non l’hanno di certo inventata in Qatar. Ma di sicuro nell’epoca dei social network, non ci si può più nascondere. Il censore di turno potrà anche riporre le forbici nel cassetto ma le notizie, veraci o false che siano, corrono sempre più veloci. Un tempo, all’interno degli stadi, le proteste si facevano ancora con bandiere e cartelloni. Al giorno d’oggi è impensabile sperare che uno striscione sui diritti delle donne o un vessillo arcobaleno possano farla franca ai tornelli. Altro che “protestine” con fasce, magliette o dita sulla bocca. Ma con dei meccanismi di sorveglianza sempre più sofisticati, ci si ritrova ormai a dover ricorrere al gadget, al dettaglio, al gesto compiuto di soppiatto, non senza una certa ambiguità. La fascia con la scritta “No discrimination” approvata dalla Fifa ma celata da una piega della maglia gialla indossata da Manuel Neuer − in occasione del match d’esordio dei teutonici in Qatar contro un vittorioso Giappone − è forse il simbolo della doppiezza di posizione del calcio europeo sul rispetto dei diritti umani lontano da casa.
Ma c’è stato un momento nel calcio in cui si riusciva a lanciare il sasso allo stadio senza nascondere la mano. Gli striscioni con il logo di Solidarność (Solidarietà), il primo sindacato libero in un paese del blocco orientale, apparsi al Camp Nou in occasione della partita Polonia-Unione Sovietica ai Mondiali di Spagna 1982, testimoniano di una altra epoca in cui ci si poteva permettere di fare molto di più in un’arena sportiva. Dieci anni fa Piotr Duda, l’attuale leader della leggendaria organizzazione nata tra i cantieri di Danzica, aveva provato a tirare le orecchie alla Fifa di Platini esprimendo le proprie preoccupazioni per le troppe morti sul lavoro, soprattutto tra gli operai nepalesi, nei cantieri che già stavano spuntando qua e là in tutto l’emirato.
Eppure, Solidarność, attualmente vicina al governo della destra populista di Diritto e giustizia, è ormai da tempo una sigla come le altre. D’altro canto non ci sono più muri tra le due Germanie da far crollare oppure cortine di ferro da sfondare tra Austria e Ungheria.
Ma torniamo al confronto tra Polonia e Urss. Siamo in pieno guerra fredda, sovietici e polacchi si giocano l’accesso in semifinale. Alla squadra allenata da Antoni Piechniczek, che può contare su uno Zbigniew Boniek in grande spolvero, basta il pareggio – ebbene sì, Zibì è era già stato “bello di notte” ancor prima di passare alla Juventus. Il match è molto sentito dai polacchi tenuti in pugno nel proprio paese dal generale Wojciech Jaruzelski che aveva promulgato la legge marziale a Varsavia il 13 dicembre 1981 proprio per scongiurare un’invasione sovietica, sulla falsariga di quello era successo in Cecoslovacchia nell’estate del 1968.
La voglia di rivalsa, almeno sul campo da gioco, a Varsavia e dintorni è giustamente irrefrenabile. Boniek, il bomber Grzegorz Lato e il resto della squadra sanno che stanno per giocarsi la partita della vita. Poco prima del fischio d’inizio alcuni striscioni fanno la loro comparsa all’ultimo momento nel settore alla spalle della porta difesa dai polacchi. Dietro l’iniziativa c’è lo zampino dell’attivista Pascal Rossi-Grześkowiak, un cittadino transalpino con madre polacca che aveva anche liberato un maiale davanti al consolato polacco di Parigi per protestare contro una visita di Jaruzelski in Francia. Per fortuna, sono i russi a partire forte e intorno al quarto minuto, il primo canale statale polacco, Telewizja Polska (Tvp), non può fare a meno di inquadrare gli striscioni clandestini di Solidarność ormai finiti in mondovisione. Soltanto verso la fine del primo tempo la regia di Tvp riesce a prendere le misure inserendo dei filmati di repertorio per evitare inquadrature scomode allo stadio. Si tratta di un metodo tutt’oggi in auge. Si prendano come esempio le operazioni di censura condotte dall’emittente cinese Cctv nei giorni scorsi in Qatar con diversi materiali video utilizzati come riempitivo per celare le immagini dei tifosi senza mascherina anti-Covid inquadrati sugli spalti.
Similitudini a parte, la tecnologia di allora non consentiva alle regie televisive di manipolare le immagini in diretta con la stessa libertà di adesso. La censura d’antan infatti richiedeva soprattutto pazienza e tempistica. Tvp aveva l’abitudine di controllare la situazione fino all’ultimo momento prima di cominciare a trasmettere il proprio segnale. Ma quella sera qualcosa era andato storto a Barcellona e il logo del sindacato inviso, tanto al politburo moscovita, quanto alla giunta militare polacca, era finito all’improvviso anche nelle case di chi non avrebbe dovuto vederlo. Soltanto a secondo tempo inoltrato, la Guardia Civil su richiesta dell’ambasciata russa, riuscì a far rimuovere le tanto odiate scritte. Forse mai rivedremmo uno zero a zero cosi carico di significati politici nel corso di un mondiale. Come è giusto che sia, i polacchi la celebrarono come una vittoria, nonostante un cartellino giallo a Boniek che gli sarebbe costato una squalifica nella partita successiva con l’Italia, vinta poi dalla nazionale di Bearzot grazie a una doppietta di Paolo Rossi. Nel Paese sulla Vistola c’è ancora chi crede che con Zibì in campo le cose sarebbero potute andare diversamente. «Per quel match con Urss sono partiti una trentina di pullman dalla Polonia. Ne è rientrato a casa uno soltanto ed era vuoto. Tutti sono rimasti a Ovest», avrebbe confessato una volta Lato, tra il serio e il faceto: della serie “in fuga per il pareggio”.