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Le storie dei ritiri. Alemao portava sempre con sé la Bibbia. Molte donne rimanevano incinte

Su Sportweek. In tanti fuggivano dalle finestre, anche gli allenatori, e avevano relazioni extraconiugali. Savoldi si perse in montagna col Napoli

Le storie dei ritiri. Alemao portava sempre con sé la Bibbia. Molte donne rimanevano incinte

Sportweek dedica un articolo alla storia dei ritiri estivi dei calciatori. I primi due allenatori che, negli anni ’30, sperimentarono la clausura dei calciatori furono ungheresi. La prima esperienza fu quella del Catania.

“A Catania era conosciuta da tutti come “la villa dei calciatori”. Per arrivarci bisognava superare il cancello piazzato all’inizio d’un largo viale alberato, a due passi dal cantiere dello stadio Cibali in costruzione. Era il 1934 quando Geza Kertész, tecnico ungherese alto e distinto, sperimentò il primo ritiro collegiale prolungato di una squadra di calcio. Nella villa si faceva vita militare. Su un registro venivano annotati con maniacale precisione i nomi di chi non rispettava la sveglia mattutina o chi si ritirava oltre l’orario fissato per il coprifuoco, chi non faceva ginnastica o chi, come la mezzala Ercole Bodini, passava le giornate sul muretto di cinta in cerca di un approccio con le ragazze che passeggiavano nella strada sottostante. Più che per la clausura, i giocatori si lamentavano della scarsa fantasia del
cuoco Pagano: «Sempre minestra o pastasciutta, sempre pesce o bistecche. E sempre frutta»”.

Quel Catania, con quei metodi, ottenne per la prima volta la promozione in Serie B.

L’altro tecnico che inaugurò l’esperienza del ritiro fu Arpad Weisz, sempre ungherese.

“già nel 1929-30 aveva incominciato a portare in ritiro l’Ambrosiana Inter prima delle partite, dal venerdì sera. E vinse lo scudetto”.

Vittorio Pozzo preparò il Mondiale del 1934 radunando gli azzurri in un albergo di Roveta, vicino Firenze. E vinse la coppa. Il ritiro diventò quasi un rito scaramantico. Nel dopoguerra diventò una prassi, nata dall’esigenza di effettuare una preparazione più professionale, anche sull’onda dell’ingresso della medicina sportiva nel calcio. Ancora una volta furono i nerazzurri milanesi ad aprire la strada, nel 1947, con un soggiorno ad Acqui Terme. Helenio Herrera portava con sé una bilancia.

“Per ogni etto di sovrappeso, scattava la multa di 100mila lire. Sandro Mazzola confessò che quando andava a dormire gli rimbombava ancora nelle orecchie la voce spagnoleggiante di Helenio: «La bala non è stanca», «Domenica il recupero non te lo danno gli avversari». Un giorno Sandrino e Boninsegna, affamati dopo l’allenamento, si fermarono in una salumeria. All’uscita trovarono però un minaccioso Herrera, che sequestrò i panini: «Se lo rifate, tornate a casa». Picchi e Guarneri scendevano di notte in cucina a bere Barbera e a mangiare salame, con la complicità dei cuochi”.

Un po’ tutti i tecnici avevano le loro manie, racconta Sportweek.

“Per Aldo Agroppi i ritiri erano «noia, fatica e sesso. Noia perché in alcuni momenti non sapevi cosa fare, fatica perché ti allenavi davvero tanto, sesso perché in questi posti ci sono sempre state le turiste e le tifose. La sera, verso le undici o mezzanotte, vedevi giocatori, ma a volte pure allenatori, che scappavano dalle finestre”.

E rimanevano figli sparsi un po’ ovunque, tanto che quando le squadre se ne andavano, le ragazze salutavano i calciatori e davano loro appuntamento all’anno successivo per i battesimi dei figli.

A Milanello Donadoni, Seba Rossi e Gullit giocavano a biliardo. Gullit aveva una stecca personale custodita sotto chiave in camera.

“In ritiro, prima dell’invenzione della Playstation, si leggeva molto. Quotidiani sportivi, soprattutto. Ma c’era chi si distingueva. Carobbi della Fiorentina si presentava con una valigia piena di libri, Vierchowod leggeva testi di astronomia, Branca di archeologia, Robi Baggio si faceva arrivare in hotel le riviste di caccia. Il brasiliano Alemao, invece, non si separava mai dalla sua Bibbia”.

Negli anni Ottanta i giocatori avevano tutti un walkman. Dopo il Mondiale 1990 cominciarono a diffondersi i primi telefoni cellulari, enormi e pesanti. Poi arrivarono computer, dvd, videogiochi. E i social.

“Se col passare degli anni è cambiato il modo di allenarsi, identiche sono le corse nei boschi, le gambe immerse nelle acque fredde dei torrenti, le lunghe passeggiate. Oggi, però, non si rischiano più certe disavventure. Nel 1978 i giocatori del Napoli si persero in montagna e vennero rintracciati dopo alcune ore di ricerche. Beppe Savoldi, che era nella rosa di quel Napoli, si smarrì anche quando giocava nel Bologna, nel tentativo di raggiungere la vetta del Monte Paù, sopra Asiago”.

 

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