“Non costruiscono squadre, vendono storie. La ricchezza del club non dipende da quanto vince, ma dalla commercializzazione del mito”
“Il Barcellona non sta più costruendo una squadra di calcio. Stanno vendendo una storia”. Tutto quello che ormai fa è marketing, strategia di sopravvivenza d’immagine, scrive Jonathan Liew sul Guardian. Superata una certa soglia, il populismo nel calcio paga anche economicamente, scrive tra le righe l’editorialista. Alimenta una bolla che vive di vita propria e tutto finanzia: vince la narrazione, non la realtà. Per cui: ci sono i debiti? Grande acquisto. Non vinciamo niente? Altro grande acquisto. Lo sport è un dettaglio.
Liew usa il solito tono caustico nell’analizzare l’ennesimo mercato a debito dei blaugrana. Robert Lewandowski, per esempio, “ha firmato un contratto quadriennale, il che significa che probabilmente ha ben 18 mesi prima che gli chiedano una riduzione dello stipendio prendere o lasciare”, o “gli verrà chiesto di posticipare una parte del suo stipendio, o magari di ammortizzarlo in 420 facili rate mensili, o accettare il pagamento sotto forma di fan token”.
Perché “questo è il vantaggio di essere il club più grande e incoerente del mondo: c’è sempre un’altra leva da spremere”.
E’ tutto un trucco, ogni crisi finanziaria viene coperta mediaticamente da un nuovo incredibile colpo di mercato. Così hanno fatto con Pierre-Emerick Aubameyang mentre tagliavano gli stipendi del resto della rosa.
“Questo curioso doppio pensiero, “siamo al verde, nuovi acquisti in arrivo!”, si è protratto fino all’estate”, scrive ancora Liew. “Questa è Barcellona, dove il sole sorge sempre e la festa non si ferma mai”.
Più seriamente: “La spesa del Barcellona sfida il senso, è una scommessa profondamente irresponsabile sul proprio futuro, forse anche una forma di tradimento”. Una società normale avrebbe dovuto semplicemente ripartire dai suoi giovani, ma ragionare così “significa in realtà fraintendere ciò che motiva questo club, ciò che gira le ruote del calcio moderno, un mondo in cui la logica interferisce solo occasionalmente. Laporta può essere molte cose ma non è stupido. Ciò che riconosce, soprattutto, è che il futuro del Barcellona non è necessariamente legato alla probità finanziaria o al buon senso degli affari o addirittura all’accumulo di trofei, ma all’autoproiezione”. La ricchezza del Barca “– gli abbonamenti televisivi, l’accordo di sponsorizzazione di Spotify, il merchandising, la rete globale di scuole di calcio, l’affitto del campo del Camp Nou per i matrimoni – non dipende neanche lontanamente dal fatto che il Barcellona vinca qualcosa. Si basa esclusivamente sul fatto che il Barcellona sia il Barcellona: il marchio, il colosso, il mito”.
“L’idea di rifondarsi in un club più piccolo e meglio gestito è antitetico a ogni principio commerciale che rappresenta il Barcellona moderno”.
Ed è un trend che non riguarda solo il Barca. “Il Paris Saint-Germain e il Manchester City hanno dimostrato l’efficacia di ignorare le restrizioni finanziarie e di costringere essenzialmente il resto dello sport a piegarsi alla loro arroganza e potenza. Il Manchester United trascorre la parte migliore di un decennio ignorando il futuro e semplicemente diventa sempre più ricco. Dire una cosa e poi farne un’altra è la pietra angolare della politica moderna. I contratti vengono regolarmente firmati per cinque anni e strappati dopo 12 mesi e qualsiasi giocatore che desideri onorarli può essere semplicemente inquadrato come pigro, egoista o mercenario. Niente significa davvero niente. I fallimenti non sono mai veramente puniti. I giochi d’azzardo non sono mai veri e propri giochi d’azzardo. Dodici dei più grandi club del mondo cercano di distruggere il calcio europeo e la loro punizione è semplicemente di lasciarli rientrare e dargli un’altra possibilità. Perdi la Champions League e potrai cambiare le regole a tuo favore”.
“La stagione più disastrosa della storia recente del Barcellona si è conclusa con un secondo posto, un contratto di sponsorizzazione record e ora l’ingaggio del miglior attaccante del mondo”.