ilNapolista

Alessandro Siani: «Ho diretto Maradona al San Carlo, mi disse che aveva paura di deludere la gente»

Al CorSera: «Da piccolo non avevo una stanza, studiavo sulle scale. Con Bisio sul set parlavo in napoletano, lui non ci capiva nulla» 

Alessandro Siani: «Ho diretto Maradona al San Carlo, mi disse che aveva paura di deludere la gente»

Sul Corriere della Sera un’intervista ad Alessandro Siani. Racconta la sua infanzia.

«Padre operaio, mamma casalinga, vivevamo in una casa dove io non avevo una mia stanzetta e per studiare andavo sul pianerottolo, sulle scale, che era pure più fresco. Ogni volta che sentivo il rumore dell’ascensore correvo via per non farmi vedere che stavo in mezzo alle scale. E ancora oggi quando sento il rumore dell’ascensore inizio a correre».

All’anagrafe è registrato come Alessandro Esposito, cambiò il suo cognome in onore di Giancarlo Siani.

«Vivevo ai quartieri spagnoli, la notizia della sua morte rimbalzò nei telegiornali e fece rumore perché era stato ammazzato non solo un giornalista, ma soprattutto un uomo perbene. È uno dei primi ricordi pubblici che ho ben presenti. Più avanti, quando avevo 18-19 anni, non sapevo ancora se avrei fatto questo lavoro, avevo alle spalle solo qualche spettacolino amatoriale e pensai a questo omaggio. Non mi rendevo bene conto dell’impatto e della forza di una scelta del genere, ma facciamo questo lavoro anche per lasciare un segno».

Racconta come è arrivato al mondo dello spettacolo.

«Da ragazzino ero già un comico nella mia classe, non quello che faceva le imitazioni dei professori e nemmeno il pagliaccio delle barzellette, ero un ragazzo che notava le contraddizioni che ci circondano e le trasformava in mini- monologhi. L’insegnante di religione mi propose di fare uno spettacolo per la scuola, mi disse che se facevo le prove di teatro me le scalavano dalle ore di studio. Accettai subito, anche perché io non amavo studiare, entravo a scuola solo quando mi ero proprio stufato di marinare».

Lo accusano spesso di assomigliare troppo a Massimo Troisi. Si difende dicendo di essere «il nulla» in confronto. E su Pino Daniele:

«Fu lui a dirmi che mi voleva conoscere, mi invitò a casa sua e mi scrisse la colonna sonora per un film senza volere soldi. Porto dentro di me le giornate con lui, i suoi racconti; ho conosciuto tutta la famiglia, sento ancora i figli; quell’atmosfera è stata formativa perla mia crescita».

In «Benvenuti al Sud» ha recitato con Claudio Bisio.

«Quando io iniziavo a parlare napoletano Claudio non mi capiva, rispondeva con frasi che non c’entravano nulla. Io lo seguivo a ruota e venivano dei ciak improvvisati strepitosi. Questo gioco tra noi due è stato fondamentale».

Su Maradona:

«Per noi Maradona è un esempio di grandezza. Io ho conosciuto lui, Pino Daniele, Luciano De Crescenzo, ho capito che avevano una matrice comune: il fatto di intercettare il pensiero della gente anche tra mille contrasti e mille problemi. Maradona l’ho diretto come regista in uno spettacolo al San Carlo, prima di salire sul palco Diego era pensieroso nel camerino. Mi disse: ho paura, ho paura di deludere la gente. Lui, Maradona. Eppure il pensiero era sempre quello, la gente. Non nascondeva le sue fragilità e contemporaneamente era un gigante».

Lei è un personaggio pubblico, si sente prigioniero del pubblico?

«Applico una regola semplice: se ho giornate storte, sto a casa, perché essere del pubblico significa esserlo appena esco dalla porta di casa mia. Non mi posso lamentare se qualcuno mi chiede una foto o mi registra inaspettatamente con il cellulare».

 

 

ilnapolista © riproduzione riservata