Al CorSera: «Con Troisi accendevamo la tv senza audio e doppiavamo in modo improbabile le trasmissioni più famose».

Sul Corriere della Sera una lunga intervista a Massimo Lopez, attore, comico, imitatore e conduttore televisivo. Ha fatto parte del Trio con Anna Marchesini e Tullio Solenghi, con i quali ha lavorato per oltre dieci anni. Oggi continua
la sua carriera artistica tra teatro, tv e doppiaggio. Con Sante Roperto ha scritto la sua autobiografia: “Stai attento alle nuvole”.
Parla dei compagni del Trio.
«Tullio non è solo un amico, per me è una protezione. Con lui e Anna Marchesini c’era una familiarità che negli anni è diventata affetto profondo, legame vero».
Una delle parodie più famose fatte col Trio è stata quella dei Promessi Sposi.
«Ho settant’anni e posso dire che quelli sono stati i giorni più divertenti della mia vita. Una volta, mentre stavamo girando, mi presi una pausa e andai al bar. Ordinai un’aranciata e mi misi a giocare a flipper. Tutti mi guardavano e non capivo perché. Poi realizzai: ero vestito da Monaca di Monza».
Quando ha deciso di fare l’attore?
«Da bambino intrattenevo la famiglia con imitazioni e canti, poi però mi sono iscritto a Lingue. Prima lezione: la prof comincia a spiegare ma, a un certo punto, indica me e prende a interrogarmi. Non resisto, esco e da allora non ho più rimesso piede all’università. È stato in quell’istante che ho deciso di fare seriamente l’attore, da sempre innamorato delle “quinte”, da quella particolare prospettiva in cui sei invisibile ma controlli tutto. Poi è arrivato il Trio».
Mina gli propose di incidere una canzone insieme, dopo averlo ascoltato cantare nella sigla finale dei Promessi Sposi.
«Mina mi ascoltò e un giorno mi telefonò. E la sua voce è abbastanza riconoscibile, impossibile confonderla, anche se pensai a uno scherzo. Mina mi disse che le piaceva la mia voce, mi invitò a Lugano a incidere un brano con lei da inserire nell’album Canarino Mannaro. “Lo vuoi fare un pezzo con me?”, mi chiese. Immaginate la mia incredulità. Solo quando mi trovai a casa sua realizzai che era tutto vero. Lei fu umanissima, accogliente. Io però volevo farle credere di essere un habitué delle sale d’incisione. Mi avviai con passo spedito, aprii una porta. Peccato che fosse l’anta di un mobile. Lei capì e allora fu una presenza discreta: mentre incidevamo Noi, il titolo della canzone, uscì e rientrò con due margherite che depose vicino al microfono. Poi volle cucinare e io non riuscivo ancora a credere di essere a casa di Mina con lei che preparava gli spaghetti per me».
La madre era una fan di Mina.
«Sì e allora decisi di chiamarla per farle sentire la voce di Mina. Quando le rivelai che stavo incidendo una canzone con lei, mia madre se la fece passare al telefono. Sa che cosa le chiese? “Com’è andato mio figlio? È abbastanza bravo?”».
La madre è morta tre anni fa.
«Lo dico piano, non vorrei essere frainteso perché non ho tentazioni misticheggianti. Ma a volte, anche in aperta campagna, io sento il suo profumo. È una sensazione concreta, olfattiva, fortissima. Una volta è successo che anche mio fratello che era con me lo sentisse. Non abbiamo commentato, non ne parliamo mai. Ma quel profumo, giuro, io lo sento davvero».
Parla anche della morte del padre.
«Quando affrontai il mio primo lutto, la scomparsa di papà, ad un certo punto mi piazzai davanti allo specchio e mi misi a ridere. A ridere forte, in modo caricaturale. Perché volevo essere ancora sicuro di riuscire a ridere in mezzo a tanto dolore».
Ha avuto due infarti.
«Ho avuto due infarti, uno “di dominio pubblico”, perché avvenuto nel 2017 mentre ero sul palcoscenico, un altro invece avvenuto qualche mese fa e del quale sto parlando adesso per la prima volta, qui. Peraltro il secondo è stato ancora più drammatico, perché ero in treno e ho viaggiato tre ore con un attacco di cuore in corso, ho rischiato seriamente. Dico questo perché dopo ogni momento così delicato ho sempre cercato di “ritrovare” la vita, di vedere da vicino le cose che contano, come se osservassi tutto dall’alto. È stato allora che ho riconosciuto la felicità. Nelle cose che ancora mi era concesso di fare. Ecco, forse per me la felicità è un ritrovamento, un recupero».
L’affetto del pubblico non gli è mai mancato. Racconta un aneddoto in proposito, che riguarda i tempi in cui girò lo spot con il celebre slogan: “Una telefonata allunga la vita”.
«La scena era questa: io in un fortino, davanti al plotone di esecuzione, che (come ultimo desiderio) chiedo di poter fare una telefonata. Ma una telefonata che va avanti per giorni, mesi, anni. Lo sa che mi scrissero tante persone preoccupate per il mio destino, vedendomi davanti a un plotone?».
Nell’autobiografia racconta anche di Massimo Troisi. Si conobbero grazie ad un amico comune, Giovanni Benincasa, autore televisivo.
«Massimo per me è stato importantissimo. Veniva a trovarmi a casa a Miami, ci mettevamo in soggiorno e sa che cosa facevamo? Accendevamo la tv ma senza audio e ci divertivamo a doppiare in modo improbabile le trasmissioni più famose».
Su Anna Marchesini:
«Anna era straordinaria, perché sapeva inchiodare ogni forma di stereotipo rovesciandone la forza con autoironia, genialità. Mi manca molto».