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Per il futuro il Napoli deve cominciare a scegliere

Non c’è quasi nulla di tattico nel seppuku del Napoli a Empoli. Il crollo è dovuto a un gap tecnico e psicologico, non certo per i cambi

Per il futuro il Napoli deve cominciare a scegliere
Empoli 24/04/2022 - campionato di calcio serie A / Empoli-Napoli / foto Image Sport nella foto: Dries Mertens-Kristjan Asllani

La tattica e la tecnica

Non c’è quasi nulla di tattico nel seppuku – il suicidio obbligatorio o volontario nella cultura classica giapponese, considerato addirittura un privilegio per la casta dei samurai – del Napoli a Empoli. I tre gol che hanno ribaltato una partita chiusa a doppia mandata nascono tutti da incredibili errori individuali. Anzi, andiamo ancora oltre con le parole: le stupidaggini compiute da Malcuit, Meret e ancora Malcuit non dipendono nemmeno da una scelta tattica sbagliata da parte di Spalletti.

L’abbiamo detto spesso, in questo spazio sul Napolista: spesso i calciatori commettono errori che dipendono dalle situazioni create dagli allenatori, da scelte tattiche che non sono adatte alle loro caratteristiche. A Empoli è andata diversamente: Malcuit – due volte – e Meret hanno commesso tre errori di pura tecnica di base, inspiegabili e inaccettabili per dei calciatori di Serie A. In rapida successione: un tentativo di superare un avversario con uno scavetto nei pressi della propria area di rigore; un rilancio effettuato troppo tardi e poi finito sulle gambe di un attaccante in pressing, il tutto in area piccola; una copertura pessima su un cross lunghissimo a tagliare l’area di rigore.

L’imponderabilità del calcio, uno sport a basso punteggio e quindi episodico, può determinare certe situazioni incredibili. Per cui può accadere che tre errori cos’ gravi, tre errori che di solito una squadra commette nell’arco di cinque o sei partite (dieci o quindici se è una squadra molto forte), possono condensarsi in pochi minuti. Più o meno la stessa cosa avvenne in un Milan-Liverpool di un po’ di anni fa, una partita rimasta nella memoria collettiva perché era una finale di Champions League. Questo Empoli-Napoli 3-2 svanirà presto, è una gara laterale di due squadre laterali di un campionato laterale. Ma era importante fare questo confronto, fare questo parallelo storico, spiegare questa cosa. L’analisi tattica della partita del Napoli va oltre la sconfitta. Oltre il risultato che resterà impresso negli almanacchi. Perché tecnica e tattica, in certe occasioni, sono cose troppo distanti tra loro.

Luciano Spalletti

Detto questo, però, è giusto interrogarsi: qual è il peso delle scelte di Luciano Spalletti su tutto ciò che abbiamo detto? Avrebbe potuto fare qualcosa per evitare la sconfitta? A giudizio di chi scrive no, nel senso che – ripetiamo – gli errori commessi da due dei suoi calciatori sono troppo grandi e troppo stupidi per poter essere addebitati a lui in quanto loro allenatore. Anche perché – ripetiamo ancora – il pallone perso da Malcuit, quello gestito malissimo da Meret e la pessima copertura del terzino francese non possono dipendere da quanto lui ha preparato in allenamento.

Per dirla brutalmente: è impossibile credere che Spalletti – o qualsiasi altro allenatore – chieda al proprio terzino di avventurarsi palla al piede in questo modo al limite della propria area di rigore, oppure al proprio portiere di cincischiare nell’area piccola se i suoi compagni sono tutti marcati. Idem per la copertura di Malcuit sul terzo gol di Pinamonti. Ecco, non è una questione di ideologie, preferenze e stili di gioco. Sono momenti neri, letture sbagliate, giocate fallite che nascono e muoiono in un istante. E poi, a dieci minuti dalla fine, Empoli-Napoli era sullo 0-2. Questo è un dato di fatto.

Il tecnico del Napoli, però, ha delle responsabilità evidenti sulle scelte iniziali di formazione. E sulla condizione – deficitaria, a dir poco – espressa dalla squadra azzurra nelle ultime partite. Secondo il parere di chi scrive, le due cose sono collegate: ovvero, Spalletti ha dovuto/voluto disegnare il Napoli visto nel primo tempo – una squadra incoerente, scollegata, priva di un sistema offensivo anche solo abbozzato – perché non poteva fare altro che raschiare il fondo del barile. E, quindi, l’ultima possibilità era presentare un 4-2-3-1/4-4-2 in cui l’unica fonte di gioco erano i movimenti da sottopunta di Dries Mertens.

Il 4-2-3-1 del Napoli, con Mertens sottopunta, è chiaramente visibile nei due frame sopra. Anzi, in queste due immagini uno dei due componenti del doble pivote, prima Fabián e poi Anguissa, sono in posizione di mediano davanti alla difesa, mentre Mertens si sposta in posizione di mezzala.

L’idea, in realtà, non era neanche così assurda. Del resto l’Empoli di Andreazzoli è una squadra che gioca con tre centrocampisti centrali e difende molto in avanti (ieri ha tenuto il proprio baricentro oltre i 52 metri, mentre quello del Napoli era a circa 49 metri), quindi la ricerca di tracce verticali e dei movimenti di Mertens tra la difesa e il centrocampo avversari avrebbe potuto funzionare. Magari un attimo prima di cercare ancora la profondità su Osimhen.

Solo che il Napoli ha finito per ingolfarsi in un possesso palla continuo (percentuale grezza del 62% all’intervallo) e senza spunti, se non quelli di Lozano. Con 4 dribbling riusciti e altrettanti passaggi chiave, il messicano è stato l’unico calciatore in grado di accendere una squadra altrimenti scarica. Come in occasione del gol di Mertens: un suo scatto lungo sulla fascia fa nascere l’azione; Juan Jesus sta alto e rende più dinamico il possesso dopo il primo rinculo; Mertens si muove bene a pendolo e disordina la difesa dell’Empoli; il pallone torna a Lozano che fa il dribbling e il cross giusto; Osimhen e Mertens completano l’opera con due grandi intuizioni, un velo e un tiro di prima dopo inserimento da dietro.

Un bel gol

Ecco, il Napoli avrebbe dovuto giocare sempre così. Perché quest’azione è bella, orchestrata bene, è una sintesi riuscita tra calcio di possesso e calcio verticale. È un cocktail di aggressività e creatività e scaltrezza. Il punto è che la squadra di Spalletti non ha più le risorse fisiche, forse anche mentali, per giocare in questo modo. Per stare così alto, per essere così concentrato, per accorciare così bene il campo e per muovere il pallone velocemente.

Lo si è visto lungo tutto il primo tempo, e i dati in questo senso non mentono: secondo il report ufficiale della Lega Serie A, l’Empoli ha mosso sia il pallone (27.83 km/h) che i giocatori in possesso (11.89km/h) più velocemente rispetto al Napoli (26.41 km/h e 10.65km/h, rispettivamente); anche il dato dei chilometri percorsi – una statistica che spesso viene citata un po’ a caso ma che ha senso in un’analisi globale di Empoli-Napoli – arride alla squadra di Andreazzoli: 116.675 contro 108.4. Inevitabilmente, Vicario non ha dovuto compiere una sola parata nei primi 45′ di gioco, 9 tiri su 10 tentati sono finiti fuori dallo specchio della porta. Di questi, 5 sono stati respinti dai difensori di casa.

Dall’altra parte del campo, non è che l’Empoli abbia fatto molto di più. Meret ha dovuto compiere un solo intervento, su Asslani, ma la sensazione era che la squadra di Andreazzoli avesse le idee più chiare sul suo sistema di gioco. Su cosa doveva fare con e senza palla. Non è un dato dimostrabile empiricamente, né un’evidenza tattica, ma è stato evidente a chiunque guardasse la partita. Allo stesso modo, però, si trattava di una squadra reduce da un periodo negativo, evidentemente in debito di condizione, che non vinceva da 16 partite e che aveva davvero poco smalto in fase offensiva.

L’importanza dell’aggressività

Tutte queste considerazioni vengono avvalorate da ciò che è successo dopo sette minuti dall’inizio della ripresa: Lozano – ancora lui – alza l’intensità del pressing su un’azione dal basso dell’Empoli, Anguissa intercetta il passaggio conseguentemente sbilenco di Parisi, il break libera il corridoio per Insigne e il Napoli trova il raddoppio. Tutto molto semplice, tutto molto lineare.

Un altro bel gol

Quando il Napoli riesce a giocare così, a essere aggressivo, corto e ficcante nelle transizioni offensive, è una squadra di spessore. Solo che, nelle ultime settimane, questi momenti sono diventati sempre più rari, per di più nell’ambito di partite che la squadra di Spalletti non domina più, neanche dal punto di vista emotivo. Certo, nella ripresa gli azzurri avrebbero potuto segnare il gol del 0-3, tra l’altro al minuto 75′, quindi pochissimi istanti prima dell’inizio della rimonta. Anche in quel caso era stata una ripartenza veloce, verticale, a portare il Napoli alla conclusione: lancio lungo di Rrahmani per Osimhen, palla ribaltata al centro per Mertens e poi a sinistra per Insigne. Anche in questo caso, tutti piuttosto lineare.

Sarebbe stato un bel gol

Fino a questo momento della ripresa, l’Empoli aveva semplicemente alzato l’intensità del proprio gioco, ma il Napoli era riuscito a contenerlo. Anzi, rispetto al primo tempo c’era una sensazione di maggiore controllo da parte della squadra di Spalletti. Lo dicono i numeri: le conclusioni della squadra di Andreazzoli non sono state poche (7), ma solo 3 di queste sono entrate nello specchio della porta di Meret, per altro tutte scoccate da fuori area.. Insomma, fino all’azione che vedete sopra, il Napoli non ha giocato benissimo, anzi. Eppure, grazie a due fiammate, era riuscito a portarsi in vantaggio di due gol. A vincere la partita.

I cambi e l’imponderabile

Su questo ultimo punto, vale la pena soffermarsi. Per un motivo semplice: da anni, ormai, il Napoli è una squadra che puntualmente si perde in alcune partite. Spesso in quelle che si giocano nei momenti decisivi della stagione – perché in realtà tutte le partite di un campionato, in fondo, sono decisive. Gran parte di questi crolli avvengono in gare che la squadra azzurra non riesce a dominare tatticamente, vuoi per inferiorità rispetto agli avversari, vuoi per incapacità o per impossibilità dovuta alle contingenze. Questo è un problema enorme, perché è francamente impossibile pensare di dominare tatticamente tutte le partite.

La vittoria di Empoli, qualora fosse arrivata, avrebbe avuto un grande significato in questo senso. Perché, come già detto, il Napoli avrebbe ottenuto tre punti non pienamente meritati dal punto di vista dell’espressione di gioco. Ma tre punti restano comunque tre punti, anche se ottenuti soffrendo, grazie a eventi incidentali se non addirittura fortunati. E invece la squadra di Spalletti – esattamente come quelle di Gattuso, di Ancelotti, di Sarri, di Benítez e di Mazzarri – ha finito per sciogliersi, a Empoli e in molte altre occasioni,  senza fare questo salto di qualità. Non appena le contingenze hanno voltato le spalle al Napoli.

E sì, magari si potrebbe discutere sull’impatto nullo avuto da Zielinski e Politano – entrati al posto dei migliori in campo del Napoli, Lozano e Mertens – e quindi di una brutta lettura della partita da parte di Spalletti, ma gli errori commessi dal Napoli sono l’imponderabile che si materializza. Sono evidentemente dovuti a un gap tecnico e psicologico, forse anche legato a questa idea-presunzione piuttosto radicata, se non addirittura manifesta, che le vittorie possano – e quindi debbano – arrivare solo in un certo modo. Cioè, dominando le partite.

Conclusioni

Nella prima parte di questa stagione il Napoli aveva costruito un’illusione. Non quella di poter vincere lo scudetto, o comunque non solo: era ancora una squadra in grado di comandare tatticamente le partite, ma era diventata anche capace di vincerle e basta, senza gestirle. Come fanno – tante, tantissime volte – tutte le grandi squadre. Quelle che vincono. Basta citare Genoa-Napoli 1-2, Fiorentina-Napoli 1-2 o Milan-Napoli 0-1 per capire cosa intendiamo. Spalletti era arrivato a questo punto mischiando le carte, lavorando con il cesello tattico, rifinendo e sistemando le tessere di un mosaico sempre diverso. Non ha smesso di farlo, non ha smesso di provarci. Ma si è ritrovato a farlo con una squadra scarica, soprattutto dal punto di vista fisico. E ha finito per incartarsi anche lui.

A Empoli, come detto, il Napoli si è presentato in modalità ultima chance. E solo le carenze di un avversario a sua volta in crisi hanno permesso alla squadra di Spalletti di venirne fuori. Addirittura con un doppio vantaggio. Poi, però, il vento è cambiato in un attimo, e i giocatori azzurri sono ricaduti altrettanto velocemente nei loro vecchi incubi, sempre gli stessi. Evidentemente questa squadra non ha lo spessore – tecnico, mentale, emotivo – per poter reggere un calcio così mutevole, o comunque ce l’ha avuto fin quando è rimasta benzina in serbatoio. Fin quando il fisico – soprattutto quello di Osimhen e Anguissa – ha retto.

In vista del futuro, è necessario interrogarsi su questo punto: come vorrà e dovrà essere questa squadra? È un discorso di identità di gioco che diventa identità psicologica, e che dovrà inevitabilmente tradursi in un certo tipo di lavoro in allenamento. Anche se non soprattutto per quanto riguarda la preparazione fisica, assolutamente inefficiente – al netto dei tantissimi infortuni, ma anche in relazione a questi – nell’arco di questa stagione. È finito il tempo delle non-scelte, anzi in questo senso Spalletti è stato fin troppo democristiano. Anche lui dovrà fare la sua parte, dovrà guidare la società in un nuovo corso. Un nuovo corso vero, che si discosti davvero da un passato che non ha più senso voler rivivere.

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