«Una bolla di follia, presi Sampras al collo e non lo mollai più», Leconte racconta la “vecchia” Coppa Davis

Intervista a L'Equipe: "Me ne aveva parlato Senna. Totale immersione. Ero appena stato operato alla schiena, dissi a Forget che avremmo vinto. Mi guardava come se fossi pazzo"

Leconte e Noah

Mentre va avanti la nuova versione, posticcia, della Coppa Davis, L’Equipe intervista Henri Leconte 59 anni dopo la leggenda dei “Moschettieri” francesi, ma soprattutto 30 anni dopo la mitica finale del 1991 contro gli Stati Uniti.

“Nell’estate del 1991, ho appena avuto un intervento chirurgico alla schiena. Per la terza volta, dopo il 1987 e il 1989. Ho l’ernia del disco. Yann (Yannick Noah) e Patrice (Hagelauer) mi chiedono di venire a tifare per la semifinale contro la Jugoslavia a Pau. È settembre e cammino a malapena. Yann mi dice: ‘Se vinciamo la Coppa Davis, la vinceremo con te’. Eravamo imbattuti in doppio con Guy (Forget) e tutti sapevamo che quello sarebbe stato un punto decisivo. Mi chiede di partire subito per Treboul per la rieducazione. Ma, all’inizio, mi aspettavo solo di giocare il doppio. In singolare era impensabile. Avevo appena avuto l’operazione e non avevo più punti di riferimento”.

Leconte racconta la rieducazione-lampo:

“Sei ore al giorno. Impara di nuovo tutte le posizioni. Lavori in acqua, per rinforzo. Dovevo assolutamente riprendere forza. Sbavavo. Ho imparato di nuovo a correre, a servire. All’inizio metto la racchetta sopra la testa per non inarcare la schiena. Ho anche imparato a muovermi in modo diverso facendo una retroversione pelvica. Tutto questo al rallentatore. Abbiamo lavorato come cani. E ho imparato ad affrontare il dolore. È durata quasi due mesi”.

Il racconto rappresenta bene l’atmosfera della “vecchia” Davis, in versione espansa. Leconte va in campo contro Sampras.

“Yannick mi dice il martedì sera che avrei giocato in singolare. Me la sentivo. Volevo assolutamente giocare la finale per cancellare il brutto ricordo della mia finale al Roland-Garros (nel 1988, persa in tre set contro Mats Wilander). Mi sentivo dentro l’Amazzonia, potevo correre e attraversare un muro. Contro Sampras, sapevo che avrei vinto. Rivedo la scena. Dopo la sconfitta contro Agassi, Forget è sul lettino del massaggiatore e non dice nulla. Allora, vado da lui e gli dico: Ragazzo, non preoccuparti, darò una mazzata a Sampras andiamo sull’1-1. Mi guarda e non dice una parola. Ma sento che sta dicendo a se stesso: ‘Quindi è completamente pazzo'”.

Ero in uno stato di totale concentrazione. Parlavo col pubblico, mi estraniavo nei momenti importanti, ma non sono mai uscito dalla mia bolla. Quando guardiamo di nuovo la partita, ci rendiamo conto che ho preso Sampras per la gola e non l’ho più mollato. Lui era come pietrificato. Improvvisamente, commetteva degli errori davvero insoliti per lui. Non sapeva come uscirne”.

“Ayrton Senna me ne aveva parlato. Mi aveva raccontato che quando entrava nella sua bolla e faceva il primo giro dopo c’era solo il giro successivo. Era lo stesso per me. Contro Sampras tutto si muoveva a rilento. Sapevo esattamente cosa sarebbe successo. Quale colpo avrebbe tirato e con quale colpo avrei risposto. Di solito dura poco. Una volta ricaduti sulla terra, siamo quasi perduti. Non mi ero accorto che stavo facendo un gioco fantastico. Una partita di Coppa Davis non sai mai come andrà a finire. A volte basta una parola, una sola, per destabilizzarti”.

Leconte racconta anche di come, prima del doppio, fosse riuscito a “resuscitare” l’umore di Forget. Che differenza con la formula costipata della Coppa Davis attuale.

“Durante il fine settimana, Guy riuscì a sfogarsi. Non lo avevamo mai visto così. Lui ed io eravamo come due guerrieri in doppio. Da una parte c’era Guy che metteva tutte le risposte, lavorava tutti i punti. Dall’altra c’era la follia. Un’osmosi funzionante”.

Forget batterà Sampras e la Francia alzerà la Coppa Davis.

“Stavo guardando la partita in TV nello spogliatoio. Non ho visto il match point. C’era troppa follia, troppa gente, la mia visuale era bloccata. Dopo sono crollato in ginocchio. Piangevo come una Madeleine. È come se fosse successo ieri”.

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