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Spalletti contraddittorio, il Napoli non sapeva come battere lo Spezia

L’analisi tattica spiega più delle statistiche. Scelte di formazione contraddittorie, soprattutto nei casi di Mertens e Lozano

Spalletti contraddittorio, il Napoli non sapeva come battere lo Spezia
Napoli 22/12/2021 - campionato di calcio serie A / Napoli-Spezia / foto Insidefoto/Image Sport nella foto: Dries Mertens

Le (enormi) differenze tra statistica e tattica

Dal punto di vista puramente statistico, empirico, numerico, la sconfitta del Napoli con lo Spezia è inspiegabile. È una su un milione. Non era mai successo, negli ultimi 17 anni (cioè da quando Opta rileva i dati della Serie A), che una squadra riuscisse a vincere una partita senza fare un solo tiro in porta. Detto questo, però, il discorso va approfondito.

Perché i numeri grezzi, soprattutto in uno sport ad alta componente episodica e a basso punteggio come il calcio, hanno poco significato se non contestualizzati. Nel caso di Napoli-Spezia 0-1, le evidenze tattiche e di contesto danno una lettura e una dimensione più ampia, quindi più corretta, rispetto ai numeri. E allora possiamo dire che, pur concedendo poco o nulla agli avversari, la squadra di Spalletti ha meritato di non vincere la partita. Se fosse finita 0-0, un risultato altrettanto deludente, il giudizio di chi scrive questo articolo non sarebbe cambiato di una virgola. Vediamo perché.

Tutto parte dalle scelte iniziali, vagamente contraddittorie tra loro. Spalletti ha disegnato un 4-2-3-1 che, in alcuni momenti della partita, diventava un 4-3-3 puro, con Lobotka vertice basso e Zielinski e Anguissa mezzali; in fase difensiva, il modulo diventava più rigido, meno fluido, con Zielinski sempre alto accanto a Mertens a determinare un 4-4-2. Questo per quanto riguarda il sistema di gioco. Ma la vera domanda è: qual era il piano partita per colpire lo Spezia? Con quali armi offensive il Napoli avrebbe dovuto forzare il sistema difensivo di una squadra che, prevedibilmente, ha posto il suo baricentro medio, in fase passiva, a 37 metri?

In alto, un momento della partita in cui il Napoli ha impostato il gioco con il 4-3-3; sopra, invece, un attacco portato con il 4-2-3-1 puro. Si vede chiaramente, in entrambi i frame, la densità difensiva dello Spezia: ne parleremo meglio tra poco.

Abbiamo parlato di scelte contraddittorie perché la lettura della formazione iniziale del Napoli non dà modo di rispondere alla vera domanda che abbiamo posto nel paragrafo precedente. Spieghiamo bene: se l’inserimento di Mertens nello slot di prima punta era il sintomo di un piano partita orientato al possesso intensivo, al gioco tra le linee, perché schierare Lozano a piede invertito, per di più sulla fascia in cui c’è il terzino più abile in fase di palleggio (Mário Rui)? Perché non inserire fin da subito Elmas in quello slot, così da poter creare combinazioni più precise e più creative nello stretto?

Inevitabilmente, il Napoli ha finito per spostarsi sull’altra fascia, quella di Di Lorenzo e Politano. Addirittura il 47% delle azioni della squadra di Spalletti sono nate dall’out destro. A quel punto, però, la mancanza di centimetri e fisicità in area ha costretto l’esterno dell’Inter a rientrare costantemente sul sinistro, il suo piede forte. È così che il Napoli del primo tempo è diventato prevedibilissimo. Merito anche dello Spezia, che con il suo 4-4-2 difensivo ha evitato che gli esterni si trovassero in situazioni di inferiorità numerica.

Il 4-4-2 difensivo dello Spezia ha reso complicati i giochi a due sulle fasce laterali

L’unico segmento del primo tempo in cui il Napoli è stato davvero pericoloso è coinciso con i momenti di luce di Dries Mertens. Quando il belga è riuscito ad associarsi con i compagni e a farsi trovare tra le linee, la squadra di Spalletti è riuscita a muovere il dispositivo difensivo dello Spezia e a creare gli spazi per la battuta a rete. Solo che questi momenti si sono manifestati nell’arco breve di 10 minuti, tra il 27esimo e il 37esimo – fino a quando Juan Jesus non ha battuto il suo portiere in modo maldestro. In quel frangente sono arrivate 5 conclusioni (2 in porta e 3 fuori dallo specchio).

Il senso di Mertens, oggi

Quello che è successo in quel frangente deve dare adito a una riflessione sulla figura (tattica) di Mertens. Il belga, come dimostrato anche in altre partite della stagione, è ormai un giocatore che vive di fiammate. E che – ma questo vale per tutti i calciatori del mondo – si esalta quando il contesto intorno a lui – caratteristiche dei compagni, atteggiamento e spaziature degli avversari, stanchezze e defezioni varie – lo agevola dal punto di vista tattico e tecnico. Il riferimento temporale a quest’ultima frase risale ovviamente a Napoli-Lazio 4-0, una partita in cui la squadra di Sarri attuò una strategia di pressing alto disordinata e quindi inefficace, lasciando a Mertens il tempo e il campo necessari per fare ciò che voleva. Anche contro il Sassuolo, un’altra squadra con una fase difensiva ambiziosa, Dries offrì una buona prestazione.

Quelle partite, dati ed evidenze alla mano, sono state le ultime (le uniche?) in cui Mertens è stato convincente dal punto di vista tattico. Ed è un fatto che il belga sia stato titolare nelle ultime tre partite in casa perse dal Napoli – contro Atalanta, Empoli e Spezia – e che le uniche vittorie di questo periodo – contro Leicester e Milan – siano arrivate con Petagna in campo dal primo minuto. Tutto questo per invitare a valutare quanto segue: se in assenza di Koulibaly, Fabián Ruiz e pure di Insigne, e se il Napoli non è tatticamente predisposto a una gara di possesso, e se le squadre avversarie tendono a difendere compattandosi nella loro metà campo, qual è il senso di schierare Mertens dal primo minuto?

Il tiro da fuori, in ogni caso, è una soluzione che ha minori possibilità di essere trasformato

In questo video appena sopra, c’è un momento in cui Mertens è stato un elemento che ha creato pericoli. Che si è acceso ed è stato sfruttato per quelle che sono le sue caratteristiche. La riflessione riguarda entrambi questi punti: rispetto a qualche anno fa, per una pura e semplice questione anagrafica, Mertens è un calciatore che garantisce meno spunti e sprazzi di questo tipo, come quelli in questo video. Al tempo stesso, il Napoli non è più una squadra in grado di accenderlo con continuità, semplicemente perché ci sono meno giocatori in grado di farlo. Non a caso, nel primo tempo gli azzurri hanno tentato il cross in 17 occasioni. Sarebbero troppi in ogni caso, ma la situazione peggiora se la prima punta di riferimento è Dries Mertens.

Poi, come detto, le scelte di Spalletti sono state cervellotiche. Soprattutto quella riferita a Lozano, un calciatore abituato a giocare in ampiezza e in profondità che invece è stato schierato a sinistra. Non solo a piede invertito, ma laddove Mertens tende ad associarsi di più. Riguardandola ora, dopo tutte queste spiegazioni/ipotesi, la decisione di inserire Mertens (questo Mertens) appare ancora più inefficace dal punto di vista tattico. Certo, sperare in una sua giocata risolutiva – sempre possibile, vista la qualità tecnica – è comunque una scelta strategica. Solo che, ormai, le sue attuali condizioni e il contesto intorno a lui non sembrano più essere ideali. Come, peraltro, ha dimostrato l’impatto avuto da Petagna dopo il suo ingresso nella ripresa.

L’importanza di alzare il ritmo

Basterebbe un rapido confronto numerico per capire di cosa parliamo. Per capire cosa vogliamo dire. Con Petagna in campo, gli 8 tiri tentati nel primo tempo dal Napoli sono diventati 29; il baricentro e la lunghezza media (vale a dire la distanza media tra i giocatori in campo) della squadra azzurra sono aumentati di circa 3 metri; i 14 tocchi in area sono diventati 32. Insomma, con il cambio Mertens-Petagna il Napoli non è certo diventato più efficace e/o più brillante in fase offensiva, in fondo il conto dei gol segnati era a zero ed è rimasto a zero, ma almeno è stato più pericoloso in avanti.

In quest’azione Petagna riempie l’area di rigore, tra l’altro con il supporto di Di Lorenzo. Anche la presenza del terzino nei 16 metri avversari è un sintomo della spinta, della pressione della squadra di Spalletti.

Per quanto Petagna non abbia né il valore assoluto né tantomeno le caratteristiche fisiche e tecniche di Victor Osimhen, e di questo ne parleremo più avanti, la sua sola presenza in attacco permette ala squadra di Spalletti di aumentare il ritmo del suo gioco. Anche in gare approcciate in maniera confusa come quella di ieri contro lo Spezia, schierare un attaccante più prestante finisce inevitabilmente per tenere più bassa la squadra avversaria, quindi di mantenere alta l’intensità della fase offensiva.

Lo stesso Spalletti, nelle interviste del postpartita, ha spiegato che l’ingresso dell’ex attaccante di Atalanta e Spal deve essere considerato «una scelta tecnica per aggiungere fisicità all’attacco». Nello screen sopra, si vede chiaramente cosa intendiamo e cosa intendeva Spalletti: Petagna costringe due difensori a marcarlo in area di rigore, e questo genera superiorità numerica in un’altra zona del campo. E infatti lo Spezia, nella ripresa, non ha superato praticamente mai la metà campo.

La condanna del calcio liquido

Ora, come già anticipato in precedenza, questo non significa che il Napoli abbia giocato un buon secondo tempo. Le azioni d’attacco della squadra di Spalletti sono rimaste confuse e inconcludenti: non a caso, viene da dire, solo 3 dei 5 tiri in porta arrivati nella ripresa sono arrivati dall’interno dell’area di rigore, e uno di questi è il fiacco tentativo di Lozano nato dall’errore in appoggio di Gyasi – quello per cui il messicano è stato definito, giustamente, sciagurato. Poi c’è stato il palo colpito da Elmas a tempo praticamente scaduto, però con una giocata – il colpo di testa – che non fa parte del portfolio del macedone.

Per spiegare questa bassissima efficacia offensiva, bisogna partire sempre dalla domanda che ci siamo già posti: qual era il piano partita del Napoli? Con quali armi e/o meccanismi Spalletti avrebbe voluto superare la difesa dello Spezia? La mancanza di una risposta evidente, manifesta, a questa domanda, è il problema che insegue il Napoli da diverse partite. O meglio: è il problema che ha condannato gli azzurri alle due sconfitte – immeritate nel punteggio, meritatissime per qualità della prestazione – contro Empoli e Spezia. Al di là della presenza o meno di Mertens – non possiamo far ricadere tutto su di un solo giocatore, ci mancherebbe – è evidente che al Napoli siano mancate soluzioni offensive in grado di determinare partite in cui, per qualità tecnica, ha avuto il dominio del gioco o del possesso.

La rosa ibrida e le scelte di Spalletti

In questo senso, l’inevitabile scelta di aderire al calcio liquido, da parte di Spalletti, si è rivelata una condanna. Ad oggi, infatti, il Napoli è una squadra che non ha – perché non può avere – un’identità di gioco offensivo in grado di sopperire alla mancanza di calciatori di grande qualità e/o agli errori commessi in fase di preparazione della partita. Anche da parte dell’allenatore. Per dirla brutalmente: una rosa con Osimhen, Mertens e Petagna come scelte offensive ti permette di variare tantissimo, per ogni partita e a partita in corso. Quando perdi Osimhen, fatalmente, le opportunità diminuiscono. Così come diminuiscono la possibilità di risolvere la partita con una giocata, personale, episodica. E lo stesso discorso vale per tutti gli altri reparti.

In un contesto del genere, con una rosa così varia e ibrida, l’allenatore diventa (ancor più) impattante. Viene da dire che diventa decisivo. Perché le sue scelte, combinate ovviamente agli episodi e agli eventi incidentali, incidono di più sul rendimento della squadra. Dopo la vittoria di Milano, che di fatto è arrivata grazie a un gol segnato nei primi minuti, abbiamo scritto che Spalletti si era dimostrato un tecnico bravo perché coraggioso, aveva scritto un nuovo piano partita e l’ha indovinato. Dopo la sconfitta contro lo Spezia, con la stessa oggettività e serenità, la situazione è esattamente ribaltata: il Napoli non è riuscito a segnare, quindi non ha vinto, perché il piano partita iniziale del suo allenatore non era quello giusto.

Certo, la stanchezza – dovuta alle assenze – e poi anche la frustrazione hanno finito per avvelenare la prestazione del Napoli. Ma resta il fatto che lo Spezia è una avversario che gli azzurri, per valori individuali e quindi collettivi, avrebbero dovuto battere agilmente. Non è andata così, e i demeriti di Spalletti e dei suoi uomini sono evidenti. Il ritorno degli infortunati, al netto della Coppa d’Africa, servirà a chiarire se si è trattata di una crisi solo transitoria, o se i problemi sono più radicati.

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