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«Maradona ha iniziato a vivere quando è morto, se n’è andato senza vedere liti e miserie in tv»

Hector Enrique a Sportweek: «Quelli che gli stavano attorno gli cambiavano il numero di telefono ogni settimana»

«Maradona ha iniziato a vivere quando è morto, se n’è andato senza vedere liti e miserie in tv»

Su Sportweek un’intervista a Hector Enrique, meglio conosciuto come El Negro. Ha vinto il Mondiale del Messico nel
1986 con l’Argentina, giocando tutte le partite da titolare. Lì ha conosciuto Maradona: fu lui a donare a Maradona la palla che lui trasformò nel gol del secolo. Gli ha fatto anche da assistente allenatore. Racconta quando ha ricevuto la notizia della morte di Diego.

«Mi si è rotta l’anima. Sono stato due giorni senza uscire, guardando foto. Sapevo che non era morto, ma che aveva iniziato a vivere. Negli ultimi tempi, avendo oltre tutto scoperto in seguito le condizioni penose in cui lo facevano vivere, il gol più importante che ha segnato, l’ultimo dribbling, sia stato andarsene e non vedere le liti, le miserie esposte in tv, la spazzatura e la politicizzazione accostate a lui. Se n’è andato con i genitori, perché Tota e Chitoro gli mancavano tantissimo. E posso dire senza sbagliare che per loro Diego calciatore non è mai stato una scelta a scopo di lucro: volevano solo che il figlio compisse quel sogno, che fosse felice. Lui è cresciuto in povertà, come me, ma con genitori che bevevano il mate per ingannare lo stomaco e così offrire un piatto di cibo ai loro figli».

L’ultima volta lo aveva visto un anno e mezzo prima della morte.

«Nel suo entourage facevano di tutto perché non mi avvicinassi a lui. Era difficilissimo contattarlo, anche per la famiglia. Gli cambiavano il numero di telefono ogni settimana. Io gli mandavo messaggi e mi rendevo conto che il numero che avevo era bloccato. Una volta, dopo che aveva vinto con i Dorados in Messico, mi sono procurato il suo telefono attraverso mia figlia. Invece di mandargli un messaggio, l’ho chiamato direttamente. E lui: “Ma che gioia sentirti, questa vittoria è pure tua!”. Gli ho detto che tante volte gli avevo scritto ma che il numero risultava bloccato. Lui, naturalmente, non ne sapeva nulla: “Io non capisco niente di cellulari, Negrito”».

Perché chi gli stava intorno si comportava così?

«Lo sanno loro… Io so solo che se Diego fosse stato vicino alla gente che veramente gli voleva bene oggi sarebbe ancora qui con noi. Io non gli ho mai chiesto dieci centesimi, la mia necessità era vederlo. Quelli che lo circondavano credevano di essere Maradona, ma di Maradona ce n’era uno solo, Diego Armando. Se l’era guadagnato. Eppure lui era il meno Maradona di tutti».

Si spiega meglio.

«Perché è sempre stato uno di noi, così si comportava, e noi dimenticavamo che lui fosse una divinità»

Enrique continua a reclamare l’assist del gol contro l’Inghilterra:

«Non capisco perché la Fifa non me lo riconosca. Io ho fatto la cosa più difficile: mi sono girato su me stesso e gli ho dato la palla con l’esterno del piede, un bellissimo passaggio, fondamentale per l’azione. Poi Diego ha fatto la cosa più facile, percorrere 50 metri dribblando l’intera squadra inglese e segnare».

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