A Sportweek: «Mi piace seminare, se poi raccolgono altri sono ugualmente contento. La tappa più importante della mia storia è stata Catanzaro: l’amicizia fu il nostro scudetto»
Su Sportweek una lunga intervista a Claudio Ranieri, che il prossimo 20 ottobre compirà 70 anni. E’ appena approdato sulla panchina del Watford.
«I 70 anni li leggo sul passaporto, ma la verità è che non penso mai all’età. Sono un uomo fortunato: faccio il lavoro che mi piace. L’entusiasmo è la mia stella polare: ritrovarmi sul campo, a respirare l’odore dell’erba, vivendo l’adrenalina quotidiana del mestiere, è una bella cosa».
Sull’obiettivo da raggiungere con il Watford:
«Salvare la squadra e porre le basi per aprire un ciclo. Mi piace seminare: se poi tocca ad altri passare alla fase del raccolto, sono ugualmente contento».
Racconta la sua infanzia.
«Vivevo tra San Saba e Testaccio. Giocavo a pallone tutto il giorno e andavo in bicicletta. Mia madre aveva paura che in strada potesse succedermi qualche guaio e mi iscrisse a una scuola a La Storta, il Sant’Eugenio, dove trascorrevo la settimana. Studiavo, non andavo in giro e giocavo a calcio. La prima squadra fu il Dodicesimo giallorosso. Ci allenavamo sul campo vicino a quello della Roma primavera e fu questa la situazione che mi portò alla Roma di Helenio Herrera».
Era mezz’ala, ma poi fu avanzato centravanti. Infine in difesa.
Nella sua carriera ha passato otto anni a Catanzaro.
«La tappa più importante della mia storia. In Calabria ho messo su famiglia e ho creato un nucleo di amicizie che mi sono portato dietro per tutta la vita: Banelli, Silipo, Pellizzaro, Spelta, Palanca, Arbitrio, Vichi, Braca. L’estate trascorriamo sempre una settimana in barca tutti insieme e poi ci ritroviamo a Capodanno, spesso anche all’estero: abbiamo festeggiato in Inghilterra quando guidavo Leicester e Fulham».
Racconta com’era la squadra calabrese:
«Un gruppo di uomini veri, di combattenti del calcio. Il collante e il segreto di quel gruppo furono i rapporti umani. L’amicizia è lo scudetto delle nostre vite».
Fabio Fraschetti, giocatore del Lamezia che vinse il campionato, lo definì, in un’intervista al Guardian del 2016, come «un innovatore» per aver portato nel campionato la zona e la psicologia dello sport. Ranieri commenta:
«Non ho mai considerato il calcio un sistema fermo, immutabile. Mi sono aggiornato, anno dopo anno, altrimenti non sarei ancora nella mischia alla mia età e in un campionato prestigioso come la Premier League. Allo stesso modo, non mi sono mai fatto travolgere dalla modernità. Non si può rottamare il passato come se fosse un ferro vecchio per il semplice gusto di cambiare. Bisogna trovare il giusto equilibrio tra il buono di ieri e le risorse di domani. Oggi è la sintesi di ieri e di domani»
Sull’esperienza all’estero, a Valencia:
«La Spagna mi ha aperto le porte del mondo: è stata decisiva per acquisire una dimensione internazionale. Lo studio di un’altra lingua, il confronto con una realtà diversa, mentalità e culture differenti: il fascino di lavorare all’estero è enorme. Si può riassumere in un’espressione inglese: open mind, aprire la mente».
Su José Mourinho, che dopo l’esonero di Leicester, si presentò in conferenza stampa con una maglietta con le iniziali CR, in omaggio a Ranieri:
«Mourinho è unico, un grande allenatore e un super motivatore. Mi manifestò la sua solidarietà dopo l’addio al Leicester e fu il primo a congratularsi con me dopo la firma con il Fulham. Gli auguro ogni bene alla guida della Roma».