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«Gianni Clerici direbbe che, pur non essendo gay, dalla mano di Berrettini si farebbe accarezzare»

Ubaldo Scanagatta scrive che non è vero che l’italiano è solo servizio e dritto. E per farlo cita i commenti del giornalista scrittore. Uno che oggi sarebbe messo al rogo sui social

«Gianni Clerici direbbe che, pur non essendo gay, dalla mano di Berrettini si farebbe accarezzare»

Pare di rileggere, in tono minore, Gianni Clerici su Boris Becker: “Soprannominato Bum Bum da cronisti incompetenti, ebbe, oltre al vigore, manina fatata”. Stesso tema affronta Ubaldo Scanagatta commentando le prestazioni di Berrettini, ormai giunto alla storica semifinale di Wimbledon. Il veterano del giornalismo tennistico – che con Clerici ha condiviso tanta strada professionale – cita proprio il grande commentatore-scrittore per smentire quello che a suo dire è un cliché: non è vero che Berrettini ha solo servizio e dritto. Ha anche un grandissimo tocco.

Il pezzo su Ubitennis è molto argomentato. Ma è curioso, a latere, il riferimento a Clerici. Citato per una delle sue storiche cronache tv con Tommasi:

«Per carità Matteo non ha ancora, né avrà mai anche perché le racchette non sono più quelle di una volta, la mano di John McEnroe. Quella che spinse Gianni Clerici a dire in una famosa telecronaca che oggi verrebbe forse censurata perché non abbastanza politically correct: Anche senza essere gay, da uno che ha una mano così mi farei certamente accarezzare!. Con Rino Tommasi al suo fianco che trasalì, rimanendo per una volta senza parole!»

Colpisce a rileggere certe cose oggi, la tranquillità con cui si potevano dire certe cose fino a pochi anni fa, senza finire nella bufera del sessismo sui social. La BBC c’è caduta due volte in pochi giorni, per “colpa” di McEnroe e Becker.

Clerici condiva i suoi commenti con epiteti e riferimenti oggi irripetibili. Pur essendo a sua volta un simbolo della libertà personale. Lo faceva in modo leggero. Parlava continuamente delle mutandine delle giocatrici, che spesso definiva “amazzoni”. E scrisse Arthur Ashe, lo definiva “negro”:

Un negro che difendeva i diritti suoi e dei suoi fratelli senza urlare né rompere vetrine, a bassa voce, come accadeva in altri tempi alla Camera dei Lord. Un negro che faceva massima attenzione a vestirsi di candide flanelle, e una volta che un suo sponsor lo costrinse al blu mi disse indignato che non avrebbe rinnovato il contratto. Un gentleman, e cioè un uomo di animo gentile. Proprio a lui doveva toccare una trasfusione di sangue infetto di Aids. Proprio lui doveva essere denunciato su un quotidiano da un suo corazziale che ancora scrive, senza vergogna, a pochi metri da me. L’ultima volta che l’abbracciai, Arthur, mi parve di tenermi stretto un sacco vuoto. Gli volevo molto bene“.

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