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Jorginho: «Mandorlini non mi faceva mai giocare. Fosse dipeso da lui, sarei rimasto in Lega Pro»

L’intervista al Telegraph: “Non mi voleva, ero sempre in panchina. Giocai regista per disperazione, fu la svolta”. Fu il capro espiatorio di Sarri al Chelsea

Jorginho: «Mandorlini non mi faceva mai giocare. Fosse dipeso da lui, sarei rimasto in Lega Pro»
Photo Matteo Ciambelli

“Corro circa 12 chilometri a partita e non ho iniziato a farlo ora”. Ha cominciato – e non ha più smesso – nel 2007. Jorginho arriva in Italia. E prima di diventare Jorginho, campione d’Europa col Chelsea, titolare della nazionale italiana agli Europei, è stato una specie di reietto del calcio di provincia. Lo racconta in un’intervista esclusiva al Telegraph.

Jorginho ricorda “il viaggio” nei minimi dettagli: in macchina da casa sua, nella piccola cittadina brasiliana di Imbituba, all’aeroporto di Florianopolis; il volo corto per San Paolo, poi quello lungo per Verona via Francoforte. E dall’aeroporto di Verona Villafranca alla sua nuova casa: “gli alberi spogliati delle foglie, il freddo pungente”.

“Non giocavo molto all’Hellas nel 2010 e ho finito per andare in prestito alla Sambonifacese, in Lega Pro. Mi sono divertito molto lì, ma poi, quando sono tornato a Verona, erano stati promossi in serie B e Mandorlini, l’allenatore, non mi voleva. È stato il direttore sportivo Gibellini a insistere perché mi desse una possibilità: se non li avessi convinti dopo sei mesi sarei andato via”.

“Mandorlini mi ha fatto giocare in tutti i ruoli in precampionato: terzino destro, centrale, ovunque. Speravo di fare qualche minuto, ma poi è iniziata la stagione e non andavo in panchina. Sono stato lasciato in tribuna ogni partita. Pensavo tra me e me: “Questo allenatore sta scherzando con me”. E così, dal nulla, mi ha fatto partire in una posizione nella quale non mi ero mai allenato, da numero 10, contro il Torino. Abbiamo perso in casa 3-1 e ho ricevuto ogni tipo di critica. La gente diceva “è troppo magro” e “non è pronto”. Non ho più giocato per un mese, allora ho chiamato il mio agente Joao Santos e gli ho detto: ‘Parto a gennaio!’. Avevo ricevuto anche una telefonata dall’allenatore con cui lavoravo alla Sambonifacese, Claudio Valigi. Aveva firmato per il Mantova in Lega Pro. E mi voleva con lui. Gli ho risposto che ci avrei pensato, ma appena ho riattaccato ho chiamato Joao: ‘Senti, vado a Mantova’, mi disse di calmarmi”.

“E poi, due o tre settimane dopo, in una partita contro il Bari, un nostro giocatore si fa male nel primo tempo. Mandorlini mi guarda in panchina, sembrava disperato: ‘Mio Dio, che faccio?’. Alla fine mette dentro e vinciamo 1-0 in trasferta. La settimana dopo ho iniziato titolare contro l’Empoli, ho segnato un gol e fatto un assist. Migliore in campo. Tutto è cambiato dopo. Per me è stata la svolta”.

La storia da lì è risaputa: la promozione col Verona, un grande impatto in Serie A e la chiamata del Napoli. Quattro anni stellari e la partenza per Londra, con Maurizio Sarri, per 57 milioni di sterline.

Jorginho diventa il capro espiatorio quando il gioco di Sarri stanca l’ambiente, scrive il Telegraph. “L’insistenza del manager su un gioco di possesso lento e rotatorio irrita i tifosi, che volevano una tattica all-action come con Jose Mourinho, Carlo Ancelotti e Antonio Conte”. “Jorginho era considerato il consigliere sul campo di Sarri suo figlioccio nello spogliatoio”.

Ho lavorato con Sarri al Chelsea e al Napoli e ho un grande affetto per lui. Non ho bisogno di seppellire questa storia. È chi l’ha creata che deve farlo. Il fulcro del mio lavoro quotidiano non è questo. Alla fine, devi fidarti di te stesso e avere chiaro dove vuoi arrivare. Ho Non ho mai dubitato di me stesso, perché sapevo quanto lavoravo duramente. Corro circa 12 chilometri a partita e non ho iniziato a farlo ora”.

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