Covacich e i runner: la corsa come metafora della ricerca della verità

Il libro dell'autore triestino - ex maratoneta - è una rarità in questo tempo che vede la scrittura come passatempo narcisistico anche per gli scrittori

Covacich runner

Mentre la politica cerca di aprire anche le maratone italiane alla presenza di top runners proponendo per i partecipanti la sola autocertificazione anti-Covid esce nelle librerie un libro – “Sulla corsa (pagg. 160, euro 15; La nave di Teseo)” dello scrittore triestino di stanza a Roma Mauro Covacich, che io seguo dagli inizi in Mondadori quando penso sia stato pubblicato da editor del calibro di Antonio Franchini. Ebbene il tempo non ha scalfito lo scrittore Covacich come forse il maratoneta che ora corricchia per stop ipertrofico cardiaco.

Il libro si interroga su quella strana forma di cannibalizzazione del corpo che porta individui giovani-adulti a cercare di migliorare i propri tempi in vista del tragitto che tange – evitandola – la morte, che ogni maratoneta svolge come un Cristo laico. Perché proprio di passione dobbiamo parlare: e dell’analisi che Covacich fa della stessa che si avvicina ad un’arte della fuga che nasce dal di dentro per proiettarsi al di fuori. Una vertigine che brucia grasso e che è sotto il segno muliebre del dominio della mente che comprende integrata anche il corpo.

E via a ricordare aneddoti con i maestri e gli altri compagni di corsa nel tentativo di trovare senso e tempi: il ricordo della propria Maratona di New York (1999), ma anche dell’incontro con l’astro etiope Haile Gebrselassie; ci sono anche dei lacerti narrativi che ricordano Petri, Pizzolato e Bordin, Baldini. Non solo: la corsa viene indagata anche nei suoi antecedenti classici: la vittoria di Odisseo nella gara in memoria di Patroclo e nell’Eneide con Eurialo e Niso.

In realtà per Covacich la corsa nella sua essenza eterea è metafora della scrittura e della ricerca della verità. Che scarto c’è tra l’oscenità della propria vita e la scrittura? C’è la possibilità di incontrare la verità in una scrittura il più possibile corporale? Questo in definitiva interessa il nostro scrittore che in un tempo di ipertrofia di scritti di genere giallo utilizza nella sua ricerca di senso il reportage narrativo andato un po’ – come genere romanzesco – nel dimenticatoio. Questo romanzo a noi è piaciuto molto: è una rarità in questo tempo che vede la scrittura come passatempo narcisistico anche per gli scrittori. Covacich scrivendo questo testo ci costringe anche a pensare alle nostre oscenità di vita senza sublimazioni artistiche.

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