A The Athletic: “Il fair play finanziario favorisce i club ricchi. Con gli spalti vuoti, i giocatori ascoltano tutte le sciocchezze che noi allenatori diciamo”

In 441 righe di intervista Carlo Ancelotti non pronuncia mai la parola “Napoli”. Tantomeno The Athletic gliene chiede conto. Si parla d’Everton, e di Inghilterra, è ovvio. E di massimo sistemi calcistici, anche questa un’ovvietà che deriva dal blasone dell’allenatore. Solo la premessa riassuntiva della carriera si porta via una ventina di righe. Uno che “ha vinto otto volte contro il Liverpool in 16 incontri, da allenatore. Uno che ha vinto tre Champions come solo Bob Paisley e Zinedine Zidane”, eccetera eccetera. Lo definiscono “uno dei veri aristocratici del calcio europeo”.
Sparpagliati in un’ora abbondante di conversazione, Ancelotti lascia registrati vari spunti interessanti. Una riguarda quello scatto del rapporto tra giocatori e allenatore durante la partita. Ora, senza pubblico allo stadio, dice, “hai linee di comunicazione più chiare con i giocatori durante la partita. Ti devono ascoltare per forza. Ma il rovescio della medaglia è che i giocatori sentono anche tutte le sciocchezze che a noi allenatori vengono fuori durante un match“.
Ancelotti dice che “gli arbitri in Inghilterra dirigono meglio di altri posti. In Italia e in Spagna subiscono un’enorme pressione. Qui sono più calmi, e la mia onesta opinione è che fanno meno errori, il livello arbitrale è estremamente alto”.
E poi parla degli allenamenti. Un tema caldissimo (oggi la Gazzetta dello Sport gli ha dedicato una pagina molto interessante), che è stato una delle leve critiche della sua gestione al Napoli. Lo accusavano di farli faticare troppo poco. Dice che all’Everton ha il problema opposto:
“A volte è difficile per loro capire che non devono lavorare al 100% in allenamento. Ci sono alcune sessioni di allenamento in cui è importante non lavorare al 100%. Il livello di intensità in Inghilterra è molto più alto che in qualsiasi altro posto. Il livello è molto alto contro tutte le squadre del campionato. In Italia può essere più una battaglia tattica, che abbassa l’intensità. Il catenaccio abbassa l’intensità del gioco”.
Gli chiedono di Prandelli, e del suo outing psicologico.
“Lo stress e la pressione mi motivano. Quando perdi un paio di partite, la tua mente inizia a ronzare. Pensi a quello che è successo. Non riesci a dormire dopo una partita. Fa parte del lavoro. Gestire quelle esperienze negative è la parte più impegnativa della gestione. È una sfida fisica, oltre che psicologica, perché se non dormi bene, è un impatto fisico. Quello di Prandelli è un messaggio comprensibile; estremamente chiaro. È una persona che si sente meno motivata nel suo ambiente e sta affrontando sfide psicologiche. È positivo che ne abbia parlato, non solo per lui, ma per molte altre persone del settore. Il concetto di psicologia nel calcio sta cambiando. C’è stato un tempo in cui le persone non potevano parlare di salute mentale nel calcio. Ora ci sono molte più discussioni; i giocatori parlano con uno psicologo, parlano più apertamente delle sfide che devono affrontare. Quando giocavo io, la sfida psicologica non era considerata affatto. Parlare di queste sfide è stato come parlare di sesso a mamma e papà: quasi impossibile! Sta cambiando in meglio”.
“Le aspettative sono molto, molto alte e, ogni anno, crescono sia sull’allenatore che sui giocatori. Una volta si parlava di squadre definite dai giocatori. Parliamo della squadra di Diego Maradona, o della squadra di Michel Platini. Ora parliamo della squadra di Mourinho, o del team Guardiola, o del team Ancelotti. Questa è una pressione che grava sull’allenatore. Ma i giocatori hanno le loro sfide; è molto più complicato di quando giocavo io; televisione, social media, questo costante accumulo di pressione, le persone vogliono sempre di più, di più, di più, di più. Un allenatore deve affrontarlo”.
Si parla in queste settimane di una riforma pesante del Fair Play Finanziario. Ancelotti è stato su entrambi i lati della barricata, allenando i super club, e ora con l’Everton (il Napoli, di nuovo, non è citato). Lui ipotizza un tetto salariale, che potrebbe aiutare a “pareggiare la concorrenza”.
“Il nostro club ha la pazienza di progredire, a poco a poco, perché è molto difficile progredire rapidamente nel calcio moderno. Puoi avere un presidente che desidera investire molti soldi ma il club non può farlo, a causa del FFP. La realtà è che col FFP i club più ricchi possono investire. Con il FFP, perdi soprattutto l’interesse per le competizioni nazionali. Ci saranno sempre meno possibilità di superare un Manchester United o un Manchester City”.