Il Guardian: le aziende in crisi tagliano per prime le società di calcio, e lo Stato non ci mette più soldi. Il programma per fare grande il calcio cinese è fallito
Lo Jiangsu FC domenica è fallito tre mesi dopo aver festeggiato il primo titolo della Super League cinese. E non è il primo club di alto livello a cessare le attività così di punto in bianco: il Tianjin Tianhai è fallito lo scorso maggio e i tifosi sostenitori dei Tianjin Tigers sono preoccupati che la loro squadra faccia la stessa fine.
Il Guardian analizza un trend ormai palese: la bolla del calcio cinese, pompata direttamente dallo Stato, è scoppiata. I campioni se ne vanno, i tetti salariali non li attraggono più, e le società spariscono. Voleva farcela, ma non ce l’ha fatta.
Quando Xi Jinping, il presidente del paese, circa dieci anni fa chiarì che era ora di porre fine alla mancanza di risultati nel calcio cinese, si scosse tutto il movimento. Le grandi aziende legate allo stato investirono tantissimo nel calcio. “Ora – scrive il Guardian – scopriamo cosa succede alle squadre di calcio quando le aziende che le posseggono vanno in crisi”.
Suning, gigante della vendita al dettaglio i cui grandi magazzini sono una caratteristica delle città cinesi, è arrivato relativamente tardi, nel 2015, ma ha presto recuperato la posta in gioco. Comprò Ramires dal Chelsea, Alex Teixeira rifiutò il Liverpool per andare alla corte di Capello. Lo Jiangsu ha conquistato titoli internazionali e per pochissimo non ha comprato Gareth Bale. Il club era in perdita già quando Suning acquistava la maggioranza delle azioni dell’Inter nel 2016. Poi è crollato tutto. Il mese scorso, il maggiore azionista di Suning, Zhang Jindong, ha annunciato che la società avrebbe ridotto le attività non al dettaglio, ma non è riuscita a trovare un acquirente per lo Jiangsu, con debiti di circa 67 milioni di sterline, nonostante il prezzo simbolico richiesto: un centesimo. E ha staccato la spina.
Il Tianjin Tigers, uno dei club più antichi della Cina, è di proprietà di Teda dal 1998 ma a causa della nuova politica della federazione calcistica cinese che rimuove la menzione di società dai nomi dei club, il Tianjin Teda è diventato Tianjin Tigers. Secondo i media locali, Teda ha disinvestito, lasciando le Tigri a se stesse. A febbraio, lo Shandong Luneng è stato espulso dalla Champions League asiatica a causa degli stipendi non pagati ai dipendenti.
Il Guardian spiega che rendere i club meno aziendali non è solo un atto simbolico. La Cina vuole rimuovere la quasi totale dipendenza dalle iniezioni di denaro dalle grandi imprese e costringere i club a diventare più sostenibili e professionali. Il mercato cinese si stava raffreddando anche prima del Covid.
È stato deciso un tetto salariale per la stagione 2021, che inizierà ad aprile. I giocatori stranieri possono essere pagati un massimo di circa 2,7 milioni di sterline all’anno. “Basta con le spesa eccessive”, ha detto il segretario generale del CFA, Louis Liu, a dicembre. “Dei 180 milioni di dollari medio speso nel 2019, il 70-80% va nelle tasche dei giocatori. E di questo, circa il 70% sono stipendi dei giocatori internazionali”.
Lo scoppio della bolla più rapido del previsto, secondo l’agenzia di stampa statale Xinhua, potrebbe essere una buona cosa. Dopo la crescita selvaggia è tempo di “rispettare le leggi del calcio, rispettare le leggi del mercato, aderire alla formazione dei giovani e lavorare a lungo termine”.