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Sarebbe meglio tenere Gattuso, evitando traghettamenti e altre fesserie

La Grandeur va rimandata a quando si potrà allestire un progetto tecnico con un allenatore di sistema che lo interpreti 

Sarebbe meglio tenere Gattuso, evitando traghettamenti e altre fesserie

Ormai è un’abitudine. Si annunciano sfracelli, si comincia alla grande, cala il buio, si manda via l’allenatore, non dopo una Via Crucis di sconfitte e qualche fuorviante vittoria. Nel tritacarne del Napoli in crisi permanente effettiva ci vanno a finire il grande Ancelotti e il piccolo Gattuso. Ognuno in missione post-Sarri.

Sarri fu sostituito da Ancelotti per dare continuità al progetto europeo. Ancelotti fu defenestrato e sostituito da Gattuso per tornare indietro, a un Napoli operaio ma solido. Ora è la volta di Ringhio, che prima o poi verrà messo in partenza. Le sue colpe: forma fisica, muscoli che si strappano, qual è il suo gioco? Uno, nessuno e centomila, parafrasando Pirandello.

E’ un Napoli che non trova pace.

E ora si ripeterà l’errore di piazzare un nuovo outsider alla sua guida? Uno vale uno. Gattuso Mister Hyde e un dottor Jekyll (?) all’orizzonte? Sarà impopolare, ma sarebbe meglio mantenere com’è il gruppo squadra (quello che resta), evitando di fare altre fesserie. Non c’è pericolo di retrocessione, alle spalle le ambizioni esagerate, alleggerire la pressione, unico obiettivo il quarto posto e finalmente gli allenamenti. La Grandeur va rimandata a quando si potrà allestire un progetto tecnico che recuperi l’Europa, con un allenatore di sistema che lo interpreti. Senza traghettamenti e altre amenità.

Le quattro partite che sconvolsero il Napoli.

Inguaiato da infortuni, virus e da tutte le discordie possibili, il Napoli ha battuto la Juve ed è stata battuta dal Granada e poi dall’Atalanta. Contro la Juve gli artigli. Contro il Granada la depressione. Contro l’Atalanta l’illusione del pareggio. Nei giorni della resa al non-gioco ritorna l’enigma “esonero o non esonero”. Del gioco meglio non parlare per mancanza di giocatori. Del destino di Gattuso nemmeno, per mancanza di strategia. La forma fisica ce la dovrebbe spiegare lo staff medico. A sciogliere gli enigmi restano gli show televisivi, i tifosi rassegnati e gli indovini di professione. Una vera manna per gli ascolti tv, per le male parole dei social e per le discussioni da bar (se sono aperti).

Sul campo una sorta di torneo a tre, dove il Napoli ha avuto al massimo il ruolo di sparring partner.

Esonero o non esonero.

Senza fare un tiro in porta o giù di lì, un Napoli incomprensibile ha vinto il match con la più forte Juve, perso quello col più debole Granada, ri-perso con l’Atalanta show. Il primo con una difesa a oltranza, scambiata per catenaccio e invece “era un calesse”. Il secondo con l’afasìa di chi aveva smesso di giocare ed era alla ricerca del gol perduto. Il terzo con sprazzi di gioco e disastro finale.

A questo punto che fare? Quando si perde si esonera e quando si vince si lascia stare? Una stupidaggine.

Il sovranismo orizzontale

L’enigmatico Amleto alias De Laurentiis dovrebbe sciogliere tre nodi. Primo: il combinato disposto di infortuni e virus ha falcidiato la “rosa” e giudicare senza avere la minima contezza di cosa sarebbe stata questa squadra col “governo dei migliori”, resta un dubbio legittimo, non fosse altro per non rischiare una medicina peggiore del male.

Secondo. Il gioco. Irritante il passing game senza averne la stoffa e senza il supporto del collettivo, affetto da “orizzontalite” acuta. Passaggio avanti, passaggio indietro e lì si rimane. Un gioco che come minimo reca il difetto di non assistere come si deve Osimhen (infortunato) travestito invece da Patagna. E poi c’è la noiosa e rischiosa uscita dalla difesa con una serie di passaggi inconcludenti. Questo il gioco che vuole casa Napoli?

Terzo: quello che serve al Napoli è un allenatore di sistema e una spesa di sistema. Ci sono le risorse col dare e avere sul mercato prossimo venturo? Parlar chiaro. Se il ridimensionamento annunciato non lo consente, si punti su un progetto tipo Napoli degli inizi, di Hamsik e Lavezzi per intendersi. I tifosi capiranno.

Gattuso sì, Gattuso no. Il gioco che piace di più

Meglio continuare con Gattuso, evitando le complicazioni di una sostituzione prêt-à-porter e lasciando libero il ragionamento sul futuro. Ringhio non ha colpe. Se non la sua onesta volontà di lavoratore della panchina con gli errori sempre in agguato. Si sapeva che non era un pluridecorato come Ancelotti, che pure fu giubilato in piazza dagli scontenti in servizio permanente effettivo. Né la squadra dei senatori fu tenera con lui, leader calmo, mettendolo di fronte a un disastroso ammutinamento. Cacciata di Carletto in archivio (c’è da scommettere che ora si sia fatto largo un discreto pentimento), non restava che dire forza Gattuso e vedi di tirarci su dalla terra di mezzo, dove non si fanno né punti né soldi. E invece ecco la crisi che non t’aspetti.

La manna dal cielo

La parola  magica, per capire la situazione, è “aspettative”: irragionevoli pensieri di grandeur, per cui tutto era possibile: scudetto, quarto posto, Coppa Italia, Europa League, Champions e via vincendo a mani basse su avversari impreparati, tamponati o in costruzione. Nessuno, però, aveva informato i tifosi azzurri che gli annunciati rinforzi erano di una modestia imbarazzante. Alle spalle un quindicennio di bel gioco e qualche vittoria di prestigio, ma la realtà era tutt’altra cosa. Si trattava di ri-progettare il Napoli dei novantuno punti e ri-proiettarlo in una dimensione europea. Ma soprattutto di non afflosciarsi al primo starnuto di sconfitta o disintegrarsi di fronte all’onerosità dell’operazione. Non solo soldi, ma anche qualità e coerenza delle scelte. In parole povere ricostruire un patrimonio tecnico in sintonia con un nuovo Napoli. Insomma, la manna dal cielo, se fosse vero.

La campagna mediatica dello squadrone

E’ a causa di questo iato tra sogno e verità delle cose che Napoli è diventata incapace di vivere i suoi momenti con senso di realtà. E la realtà è un pacchetto di centrocampo acquisito a gennaio e dintorni, che nel suo insieme si è rivelato inadeguato agli spropositati obiettivi di classifica: minimo quarto posto, se non terzetto di punta con Juve e Inter, con buone probabilità di vincere il campionato più ostico d’Europa. Questo si diceva. La rosa era la più ampia e strutturata, dopo quella della Juve. A confermarla una campagna mediatica superficiale e ruffiana, che aveva inoculato nelle vene della tifoseria l’idea che si fosse davanti a uno Squadrone che tremare il mondo fa (prendiamo in prestito dal glorioso claim del Bologna calcio del ’41).

I limiti del gruppo squadra

E invece, a tremare è stata la squadra allenata da Carletto prima e dal suo rimpiazzo poi. Giocatori male assortiti, alcuni ruoli non coperti, come l’annoso laterale sinistro, il regista, il centravanti di sfondamento e di qualità, ì corner e i calci piazzati (possibile che non si sia mai trovato niente di meglio che buttare la palla tra le braccia del portiere o sulla testa del centrale di turno)?

Tutto questo, spendendo una cifra blu per la presunta “rosa” più forte del campionato e impiegando come titolari giocatori in partenza per altri lidi. Insomma, un gruppo sconclusionato, arricchito da nuovi arrivi, anche in una grande squadra farebbero al massimo le riserve. Eppure, la vecchia guardia, che ha fatto divertire i napoletani e meritato l’ammirazione in Europa, ha sudato le sette magliette per rimanere ai vertici delle competizioni. Vi pare che l’organico attuale sia migliore? Tra i nuovi arrivati si salva, come giocatore vero che ce l’ha nel sangue, Hirving Lozano, raccomandato da Ancelotti.

Ma “dov’è finito Aurelio?”, si chiede su Undici Massimiliano Gallo in un’ampia ricostruzione della vicenda Napoli. Sembra aver disperso la sua carica intraprendente e innovativa. A Napoli si potrebbe dire sinteticamente s’è scucciato.

 

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