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Revenge porn, la preside: «Sì, dissi alla maestra che non avrebbe neppure pulito i cessi della stazione»

A Repubblica Torino: «L’avrei detto anche a mio figlio. Non è colpa mia se la ragazza non ha trovato ancora un lavoro. Non ha i titoli per fare la maestra».

Revenge porn, la preside: «Sì, dissi alla maestra che non avrebbe neppure pulito i cessi della stazione»

Dice che con la maestra aveva un ottimo rapporto.

Su Repubblica Torino un’intervista alla preside condannata per aver licenziato la maestra vittima del revenge porn, a Torino.

«Sono molti gli aspetti di questa storia che ritengo non siano emersi in maniera corretta. La ragazza sostiene che vorrebbe tornare a lavorare, ma non è colpa mia se non ha trovato ancora un lavoro. E nemmeno mi sono mai state chieste referenze su di lei».

Se non lavora, dice la preside, dipende da altro.

«Dal fatto che non ha i titoli per fare la maestra. Dovrebbe infatti almeno prendere una laurea».

E continua:

«Io non l’ho mai costretta a dimettersi, e questo l’ho detto davanti al giudice e l’hanno confermato anche le altre maestre. Poi sinceramente, sono cose successe tre anni fa, io ho difficoltà a ricordarmi persino quello che ho fatto ieri, figuriamoci tutto quello che era successo in quei giorni. Per quanto certe vicende che ti coinvolgono e ti toccano così non sono facili da scordare. E qui tante cose hanno fatto male».

La preside si dice sorpresa per come è finita la vicenda.

«Dopo il licenziamento ha accettato una transazione e io credevo fosse finita lì».

Dice di non essere «un lupo cattivo, ma siamo stati dipinti così».

Ammette, però, di aver detto alla maestra, in una riunione di fronte alle colleghe, «Non troverai più lavoro nemmeno per pulire i cessi di Porta Nuova».

«Questa frase è uscita, è vero, ma da mamma l’avrei detta anche a mio figlio».

Dice che con la maestra aveva un ottimo rapporto.

«Le facevo da mangiare, preparavo le torte e offrivo il caffè prima di iniziare, c’era sempre un momento di conversazione. Volevo solo un clima sereno, perché i bambini piccoli sono come spugne, a scuola come a casa, e se sentono che c’è malessere loro lo percepiscono».

E spiega anche perché non le ha mai chiesto scusa.

«Sinceramente io avevo cercato il padre perché volevo aiutarla, volevo sapere come stesse. Anche perché se avessi voluto licenziarla l’avrei fatto subito, alle otto, quel mattino stesso. Non è stato possibile un confronto: ho cercato una mediazione, ma non è mai arrivata. E poi ho ricevuto solo telefonate dagli avvocati: così è diventato difficile avere un contatto. C’era un muro, era impossibile»

Durante il processo, in aula è stato fatto ascoltare il messaggio che la preside aveva mandato alle altre maestre, su Whatsapp: un invito a fare sbagliare la maestra, per coglierla in fallo. A tal proposito dice:

«Ero esasperata, stavo male e avevo la febbre, ero senza voce, e lei si era rimangiata per tre volte la parola facendo passare me per la bugiarda».

 

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