Italiano: «Non mettiamo in giro cose su me e il Napoli. Non bastano i complimenti del presidente»
Al CorSport: «Se vuoi ottenere risultati non puoi non giocare bene. Vuol dire avere una strategia, applicare idee specifiche per ciascun avversario. L'obiettivo è uscire dal campo con il sorriso»

Il Corriere dello Sport intervista Vincenzo Italiano, allenatore dello Spezia. E’ una delle rivelazioni del campionato di Serie A.
«Quando ero calciatore ho maturato questa convinzione: se vuoi ottenere qualche risultato non puoi non giocare bene. Significa: stare attento a entrambe le fasi, aggredire le partite, proporre qualcosa. A speculare, soprattutto se sei lo Spezia, di partite ne vinci pochine. Se hai qualche idea invece puoi mettere in difficoltà chiunque. Fermo restando che conta solo la posizione che si occupa a fine campionato».
Italiano spiega cosa vuol dire, per lui, giocare bene.
«Non si tratta di estetica. Per me giocare bene equivale a occupare lo spazio, muoversi nella maniera giusta quando non si ha la palla, andare a riconquistarla, concedere poco. Io sono al primo anno di Serie A e appena ci ho messo piede mi sono reso conto che tutte le squadre funzionano come orologi. Avere una strategia, applicare idee specifiche per ciascun avversario. Quando non ci riesci, giochi male. A noi è accaduto a Napoli».
Si riferisce alla partita di campionato, finita con una vittoria dello Spezia. Tanto da indurre il presidente De Laurentiis a raggiungere Italiano negli spogliatoi per complimentarsi con lui. Il tecnico commenta:
«E mi ha stupito. Una gran bella soddisfazione. Però non mettiamo in giro cose su me e il Napoli, per favore. Magari bastasse l’attestato di stima di un presidente per avere un contratto».
Il calcio, dice, sta cambiando.
«La costruzione, la ricerca del gol in più, il coraggio, la consapevolezza del rischio: ormai la strada è questa. Io non pontifico, cerco di imparare. Di sicuro arrivano input significativi dalla frequentazione delle coppe europee, ma anche da noi la musica è diversa da un po’. L’Atalanta di Gasperini è un esempio: sempre in pressione, sempre alla ricerca dell’azione offensiva, accettando il pericolo dell’uno contro uno. Tutto questo oltre a fare spettacolo responsabilizza i calciatori, li spinge a crescere. La parola chiave è divertimento. Uscire dal campo con il sorriso, quello è l’obiettivo da perseguire».
La prima cosa che un allenatore deve fare è curare il rapporto con i suoi giocatori. E’ la sfida più difficile, dice.
«Io credo che per un allenatore la prima cosa da realizzare e la più difficile sia l’empatia con i giocatori. Fatto questo, può accadere qualcosa di travolgente in qualsiasi squadra. Dal Milan di Sacchi al Barcellona di Guardiola, non ho mai visto una squadra vincere senza un’idea di gioco».
E ancora sul ruolo dell’allenatore:
«Penso che ciascuno di noi tecnici spera di lasciare ai propri giocatori un bel ricordo. I miei allenatori con me lo hanno fatto. Per lavorare bene devi avere lo spirito dell’insegnante e contemporaneamente restare allievo. Altrimenti non cogli i momenti giusti e non comunichi niente agli altri».
Dei suoi giocatori dice che lo ascoltano. E conclude:
«Non si ha idea di quanto i giocatori siano diventati maturi e professionali».