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Menotti: «Diego mi disse che era condannato ad essere infelice. Gli hanno succhiato il sangue»

Repubblica intervista l’ex ct dell’Argentina: «Non era un leader, era un compagno, era la squadra. Pelè, però, era di un altro pianeta».

Menotti: «Diego mi disse che era condannato ad essere infelice. Gli hanno succhiato il sangue»

Repubblica intervista l’ex ct dell’Argentina César Luis Menotti. Il tema è, naturalmente, Maradona.

«Sono sommerso dal dolore, come se fossi coperto di merda».

Dice, e racconta chi era, per lui, Diego. Lo conobbe che El Pibe aveva 15 anni, lo allenò per sei anni.

«Era immortale ma non era dio, non era un modello morale e non voleva esserlo, non era neanche Pelé. Era un ragazzo che aveva sofferto e un uomo che voleva vivere a modo suo. Quando giocava, sì, è stato il più grande del mondo».

Per Menotti, Pelè era più forte: «La pantera è di un altro pianeta, lasciamolo fuori. Ma Diego col pallone ha fatto cose incredibili»

Aiutava tutti.

«Non era un leader, questa parola non mi piace: era un compagno, era la squadra, con lui si giocava in dodici. Era il migliore».

Dopo la squalifica per doping, nel 1990, Diego gli disse:

«“Io devo essere infelice”. Era contento solo in campo».

Sulla solitudine in cui è andato via:

«Una follia, per me il dolore più grande. Gli hanno succhiato il sangue. Però mi feriva anche vedere come si era ridotto negli ultimi mesi. Andò ad allenare il Gimnasia e non si reggeva neppure in piedi».

E continua:

«Credo fosse maledettamente difficile essere Maradona, me ne sono accorto negli anni che abbiamo trascorso insieme. Doveva accettare continui compromessi, era circondato da tanti, però credo che in pochissimi gli volessero bene».

Non lo vedeva da 10 anni. Dice che Maradona non voleva incontrare nessuno.

«Non voleva più vedere la gente, e penso che anche in questo meritasse rispetto. Io non l’ho più disturbato. Era irraggiungibile».

Da dove veniva la sua infelicità? Gli viene chiesto. Risponde:

«Penso che avesse paura di non essere più amato e questo era impossibile. Gli dicevo: hai tutto, sei Maradona, hai figlie bellissime. La sua ansia era ingovernabile. Qualcuno ha detto che era come se ogni giorno pensasse di dover segnare un gol agli inglesi. Una condanna».

E conclude:

«Se n’è andato tante di quelle volte da farci credere che la morte vera, alla fine, non sarebbe arrivata mai»

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