Autostrade, le intercettazioni svelano che Castellucci e i suoi sfancularono il nuovo ad che voleva sapere

Il Fatto racconta l’interrogatorio di Tomasi. Castellucci e i suoi uomini di fiducia non gli facevano toccare palla. Agli inquirenti racconta: "Mi dissero di non fare il primo della classe"  

tomasi

È uno strano mondo quello di Autostrade per l’Italia (Aspi), l’unica società dove il numero uno prende ordini dai sottoposti. E alla fine devono arrivare i magistrati a rompere il circolo vizioso”.

Lo scrive Jacopo Rocca sul Fatto Quotidiano, raccontando l’interrogatorio dell’amministratore delegato di Autostrade per l’Italia, Roberto Tomasi. Il 20 gennaio di quest’anno è stato interrogato dalla Procura di Genova. Dalle intercettazioni dei manager di Aspi si evinceva che anche lui, che all’epoca era condirettore generale dell’azienda, sapeva che le barriere antirumore avevano dei problemi progettuali e che esistevano rischi per la sicurezza.

In quella sede, Tomasi si difese dicendo di essere stato “messo in mezzo”, riferisce il quotidiano, da Castellucci e da due suoi fedelissimi, e suoi sottoposti, ovvero Paolo Berti e Michele Donferri Mitelli, arrestati con Castellucci nei giorni scorsi.

Tomasi raccontò:

“A un certo punto ebbi l’impressione che tutti sapessero di questa storia. Berti e Donferri mi convocarono un giorno per dirmi che la cosa era di loro competenza. E con modi un po’ coloriti mi dissero di non fare il primo della classe”.

L’ad di Autostrade raccontò anche di aver chiesto a Donferri di mostrargli lo studio che secondo il manager certificava la tenuta dei pannelli. Ma che Donferri non glielo fece mai vedere.

E Donferri, intercettato, chiarisce in poche parole il rapporto che aveva con il suo superiore.

“Tomasi ha chiamato me e l’ho mandato a fare in culo, ha chiamato Berti e l’ha mandato a fare in culo, è andato da Castellucci e Castellucci l’ha mandato a fare in culo”.

 

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