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Vivere, un insieme di solitudini molto rumorose nel nuovo film di Francesca Archibugi

Fuori concorso a Venezia 76. Un esempio di come le dinamiche nella nostra società si siano trasformate con la morte della famiglia tradizionale e con la perdita di senso dei sentimenti

Vivere, un insieme di solitudini molto rumorose nel nuovo film di Francesca Archibugi

“Vivere” è il nuovo film di Francesca Archibugi con la sceneggiatura, anche, di Francesco Piccolo e Paolo Virzì, fuori concorso a Venezia 76.

Susi (Micaela Ramazzotti) insegnante di danza, vive con il suo compagno Luca Attorre (Adriano Giannini) che è un giornalista freelance per “Mondo sera”, una testata in cui non fa carriera, anche se riesce a farsi notare per il suo stile in notizie inverosimili ma seguite sul web.

Hanno una bambina, Lucilla (Elisa Miccoli), che ha frequenti crisi d’asma che appaiano psicosomatiche. Luca ha anche un’altra famiglia: quella con Azzurra (Valentina Cervi) figlia di una schiatta di avvocati ammanigliati con i politici e la malavita della Capitale che ha nell’avv. De Sanctis (Enrico Montesano) l’ultimo erede. Dall’unione tra Azzurra e Luca è nato Pierpaolo un figlio 17enne che vive tra cocaina e sballi a scavalco tra le due famiglie.

In questo baillamme si inserisce nella famiglia di Susi – con un mutuo sulle spalle – la ragazza alla pari Mary Ann (Roisin O’ Connor), irlandese cattolica, altruista ed empatica, che instaura una relazione piena di sensi di colpa con Luca. Su tutti vigila il vicino di casa degli Attorre, il perito industriale Perino (Marcello Fonte).

Già da questa descrizione si capisce che questa commedia terenziana riportata ai giorni nostri è al riparo da qualsiasi deus ex machina: anche perché come dice Luca “siamo fatti tutti male”. L’Archibugi, infatti, descrive bene, non il suo solito interno borghese – materia di cui è una delle massime esperte – ma ciò che è diventata la realtà di tutti noi: un insieme di solitudini molto rumorose. La vicenda va avanti con i suoi incastri di realtà – più che di verità e di fatti – e nell’esasperazione degli intrecci, Luca trova la sua ennesima fuga in Mary Ann, mentre Susi una sponda ai suoi malesseri ed al fallimento delle sue aspirazioni nel dottore Marinoni (Massimo Ghini).

Tutti sembrano – secondo la nota classificazione di Adriano Sofri in “Le prigioni degli altri” – dei ‘reclusi fuori’, e non sembra esserci un’uscita di sicurezza vitale. Perché, poi, nessuno dei protagonisti lo vuole veramente. Questo microcosmo chiuso è infatti un esempio di come le dinamiche nella nostra società si siano trasformate con la morte della famiglia tradizionale e con la perdita di senso dei sentimenti. Ma questo- sembra dirci la regista – è pur sempre, “Vivere”.

 

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