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Fognini: «Quando ho sbagliato, ho pagato. Non sono come Agassi, sarò sempre grato al tennis»

Al CorSera: «Non so neanche io perché mi succedono certe cose. Così come sono, sono entrato nella top ten. Che vi piaccia o no siamo tutti un po’ Fognini»

Fognini: «Quando ho sbagliato, ho pagato. Non sono come Agassi, sarò sempre grato al tennis»

Il Corriere della Sera intervista Fabio Fognini. Il tennista, famoso per le sue sfuriate in campo e visto come un giocatore spesso irascibile, si racconta a tutto tondo.

«Non sono diverso dagli altri, né migliore né peggiore. In ognuno ci sono due facce, nel bene e nel male. Certo io ho gli occhi più puntati addosso, per il mestiere che faccio, ma quando appenderò la racchetta al chiodo potrò dire di essere stato Fabio Fognini sotto tutti i punti di vista. Gli errori fanno parte della crescita: non me ne vanto, non ne vado fiero. E quando ho sbagliato ne ho sempre pagate le conseguenze. Mai avuto sconti in vita mia».

Rivendica di essere sempre stato se stesso.

«Mi hanno giudicato per la persona che sono in campo. Ma c’è di più. E sono sempre stato me stesso, cosa che molti campioni di fama trasformati in peggio dal successo e dai soldi non possono dire. Sono triste per loro».

Per vincere, dice, occorre per forza essere egoista, “ma per un tempo limitato”.

«Mi spiego: quando io gioco contro di te non siamo amici, ma se poi vogliamo andare a bere una birra, io ci sto. Quello che succede in campo, finisce lì. Ecco perché dopo ogni multa o incidente di percorso sono sempre ripartito».

Mai detestato il tennis, come Agassi, anzi.

«Al tennis sarò sempre grato: per me è la vita. Certo ci sono stati periodi in cui non si è fatto voler bene. Nel 2019, ad esempio, prima di vincere il Master 1000 di Montecarlo, ero incavolato con il mondo: spaccavo due racchette a allenamento, vedevo tutto nero, ero frustrato. Lì è stata brava Flavia a sopportarmi: una moglie che non avesse fatto la tennista, mi avrebbe piantato. Ma non ho mai pensato di smettere, nemmeno nei momenti più bui».

Non sa spiegare perché, a volte, cali il buio.

«Non so neanche io perché mi succedono certe cose. Pure Flavia mi dice che non capisce: è come se in campo a volte Fabio smettesse di esistere e al suo posto arrivasse all’improvviso un altro tizio totalmente fuori controllo. Un nemico che mi porto dentro e che a volte non riesco a trattenere».

Ma aggiunge:

«A me va bene così: sono entrato nei top-10 del ranking restando fedele a me stesso. Diventare come mi vogliono gli altri mi farebbe stare male».

Il padre sognava diventasse calciatore. Racconta:

«Vicino a casa nostra, ad Arma, vivevano i Dellacasa: lui era il massaggiatore ufficiale dell’Inter ed era cliente al ferramenta di mio papà, che è anche un buon amico di Altobelli, tanto che nell’82 l’aveva invitato a seguire la Nazionale in Spagna peri Mondiali. Tutti i miei idoli di bambino sono calciatori: Materazzi il ribelle, Zamorano il guerriero. Con mio padre andavamo alla Pinetina a vedere gli allenamenti. Ma quando a 13 anni mi sono trovato davanti al bivio, non ho esitato: nel tennis sei solo, tuo il merito, tua la colpa. Non ci sono giustificazioni. È così che funziona».

E conclude:

«Che, vi piaccia o no, siamo tutti un po’ Fognini. Rassegnatevi»

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