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Il Napoli è un cineforum di vecchi film restaurati

“Abbiamo preso il gol e abbiamo dimenticato cosa fare”. La frase di Mertens apre il film di cose già viste: dalle prestazioni inguardabili nei momenti clou ai complimenti dell’allenatore avversario

Il Napoli è un cineforum di vecchi film restaurati

“Abbiamo preso il gol e abbiamo dimenticato cosa fare”. Dichiara Mertens e io impazzisco. Una frase, talmente ingenua e impensabile per un professionistiam da sembrare perfino bella, romantica, poetica. Dimenticarsi cosa fare è sublime, certe volte è addirittura necessario. Si usa in letteratura, al cinema “Dobbiamo dimenticare ciò che sappiamo fare e ricominciare da zero”. Nel calcio professionistico non funziona così, non è il calcetto, non ci si può ogni volta dimenticare. Non possiamo rovinare una partita perché prendiamo un gol, forse irregolare, su calcio d’angolo dopo una decina di minuti. O siamo professionisti che giochiamo la Champions League da diversi anni o siamo quelli del calcetto, a quel punto ci vediamo il giovedì sera, affittiamo il campetto, non andiamo dicendo in giro chi siamo, mettiamoci le magliette di colori diversi, i calzettoni spaiati, ogni tanto dribbliamo tutti, segniamo. Dopo la doccia, la pizza. Sono altre le cose che il Napoli dovrebbe dimenticare e impararne di nuove, non avere timore ogni volta che l’avversario non si chiami Spal o Udinese, e andiamo su. Stiamo ancora qua? Da Mazzarri a Gattuso davvero non è successo nulla?

Ieri sera il Napoli ha colpito il suo trentaseiesimo palo, o forse il trentasettesimo. Per non sbagliare diciamo poco meno di quaranta. Sono un’enormità. I quaranta pali somigliano a quel “abbiamo dimenticato cosa fare”, siamo sullo stesso lato della medaglia. Qualche palo e un paio di traverse sono sfortuna, quaranta somigliano a imprecisione, poco sangue freddo, frenesia sottoporta, paura di sbagliare – e infatti si sbaglia – somiglia di nuovo a noi che giocavamo a calcetto e ci dicevamo – davanti alla pizza – cose come: “Però se entrava, che gol”. E invece palo, portami un’altra media chiara.

C’è di buono che questa stagione assurda sia finita. Questo periodo di partite finte, tutte uguali, più somiglianti ad allenamenti che a calcio vero se ne è andato. Non se ne poteva più. Aggiungiamo a questo assurdo storico l’assurdo (e inesorabile) dell’intera stagione del Napoli. Ci ricordiamo, no? I capricci, le multe, è colpa mia è colpa tua, il feeling con l’allenatore. Le paghiamo, non le paghiamo. I pesci fetenti volati negli spogliatoi due o tre giorni dopo aver giocato benissimo in casa con l’Atalanta. Cose alle quali ancora non riesco a pensare. Società ridicola, calciatori ridicoli, allenatore di allora che commette qualche errore, allenatore nuovo che io ancora non so. Mi verrebbe da dire boh, ma boh è pure troppo.

Attenzione, abbiamo vinto la Coppa Italia e ne siamo contenti, ci mancherebbe altro. Abbiamo imparato a calciare i rigori. Abbiamo battuto la Juve perfino in campionato, perché a noi interessa battere la Juve ogni tanto mica vincere sul serio. Noi prendiamo un gol e dimentichiamo cosa fare. Come se giocare al calcio non fosse l’unica cosa da sapere. Ieri sera non un taglio, non un lancio in profondità, non uno che viene incontro e chiama un triangolo, non un tiro come si deve. E poi Zielinsky, ma basta. Koulbaly e Manolas completamente impazziti. Abbiate pietà. Ricorderemo, per nostra fortuna, in futuro solo il gol di Messi, entrambi, anzi, perché dell’altro non sappiamo ancora il perché dell’annullamento. L’allenatore del Barcellona fa i complimenti a quello del Napoli. Pure questo film lo abbiamo già visto. Ecco cos’è il Napoli un cineforum, si proiettano vecchi film restaurati, le sere in cui andiamo noi becchiamo sempre il film che non ci è mai piaciuto.

Per fortuna un po’ di pausa, troppo breve, tra un mese stiamo di nuovo qua, chissà se alle prese con l’ennesima rivalutazione di Hysaj, o con il prestito di Meret (teniamolo per carità), oppure con tiri alle stelle, già li vedo, di Petagna. Diosanto.

Ora questo pezzo potrebbe sembrarvi severo, troppo duro, invece è un pezzo affettuoso, pieno d’amore. Un pezzo senza speranza.

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