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“Ben Johnson positivo già nell’86 ma l’Urss lo coprì”: il guru del doping russo vive in Usa sotto protezione

Il dottor Rodchenkov ha scritto un libro. Ha svelato il doping di stato di Putin: dalle pratiche anni Ottanta ai cocktail di Sochi. “Se fosse rimasto in Russia, ora sarebbe morto”

“Ben Johnson positivo già nell’86 ma l’Urss lo coprì”: il guru del doping russo vive in Usa sotto protezione

Le persone che sanno dove si trova in questo momento il dottor Grigory Rodchenkov, si contano sulle dita di una mano. Nemmeno il suo avvocato, Jim Walden, conosce dove si nasconde. Quando gli Stati Uniti nel 2018 hanno espulso 60 diplomatici russi per protesta contro l’avvelenamento di Sergei Skripal, alcuni di questi – ha scoperto in seguito l’FBI – erano stati mandati dal Cremlino con la sola missione di trovarlo.

Questa storia sembra sceneggiata da John le Carré ma è invece una incredibile vicenda di spionaggio ambientato nella guerra fredda del doping, ancora oggi, nel 2020. Perché il dottor Rodchenkov era il capo del laboratorio antidoping  di Mosca, nonché l’architetto del grande doping russo a Londra 2012 e ai giochi invernali di Sochi due anni dopo. E’ fuggito negli Stati Uniti dopo che un’indagine avviata dalla Wada nel 2015 aveva rivelato l’insabbiamento dei test antidoping falliti nel suo laboratorio e la frettolosa distruzione di 1.417 campioni. Rodchenkov è diventato un pentito e, come raccontato nel documentario premio Oscar, Icaro, è diventato un informatore di alto livello.

Tra le varie accuse da lui mosse c’è il coinvolgimento di Putin in quello che pare chiaro essere un pianificato doping di stato: “Se avessimo avuto la strumentazione e la metodologia che possediamo oggi per usarla sui campioni di Seoul, Mosca o Atlanta, sarebbero centinaia e centinaia i positivi. Ciò che è accaduto in Russia non è mai stato fatto in nessun altro paese. Avevamo il via libera dello Stato. I Giochi olimpici erano un progetto del presidente russo Vladimir Putin. Non avevamo limiti di risorse“.

In patria questo lo rende un traditore. Putin dice che Rodchenkov è “sotto il controllo dei servizi speciali americani”, e lo descrive come “un imbecille con ovvi problemi”.

Il guru del doping russo ha rilasciato un’intervista sensazionale alla BBC, col volto coperto e nel più totale anonimato, nella quale ha raccontato dettagli inquietanti. Un’operazione anche di marketing visto che da pochi giorni è uscito un suo libro che contiene ovviamente ulteriori rivelazioni. Alcune delle quali risalgono addirittura agli anni Ottanta, ai campionati mondiali di atletica leggera di Helsinki del 1983 dove – scrive – “trovare urina pulita era un’impresa visto l’alto numero di atleti che assumeva sostanze dopanti”. Rodchenkov rivela che l’Urss boicottò le Olimpiadi del 1984 di Los Angeles perché gli Stati Uniti negarono alla Russia il permesso di avere una nave al porto, nave che sarebbe stata adibita a grande laboratorio del doping. A Seul, invece, la nave potè attraccare liberamente.

Nel suo libro, il guru del doping russo ha fatto anche un’altra rivelazione. E cioè che Ben Johnson risultò positivo già ai Goodwill Games manifestazione creata proprio per allentare le tensioni politiche tra i Paesi dopo i due consecutivi e reciproci boicottaggi olimpici del 1980 e del 1984. I 100 metri furono vinti da Ben Johnson davanti a Carl Lewis, il canadese risultò positivo allo stanozolol (come a Seul) ma – scrive Rodchenkov – «il risultato non è mai stato segnalato».

Per il suo avvocato, Walden, “ha vissuto molteplici vite in un solo corpo. È davvero incredibile la catena di buone relazioni, fortuna e astuzia grazie alla quale in qualche modo è sopravvissuto, contro ogni previsione”.

La carriera di Rodchenkov nei laboratori antidoping russi è terminata nel 2011, quando è stato arrestato e accusato di traffico di droga insieme a sua sorella Marina. Dopo un tentativo raccapricciante e pasticciato di togliersi la vita, è stato arrestato e trasferito da un istituto psichiatrico all’altro, sottoposto a pesantissime cure con “droghe psicotrope”. Secondo Walden, la sua vita è stata salvata da un semplice invito da Londra.

Prima delle Olimpiadi del 2012, da capo del laboratorio per i Giochi di Sochi 2014 fu invitato in Inghilterra dal capo dei test di Londra 2012 David Cowan presso il laboratorio di Harlow. Un’occasione di raccolta di informazioni, l’invito era solo per lui. Dopo fu rilasciato senza che gli fosse mossa un’accusa formale.

In questa fase, la sostanza d’elezione utilizzata da molti atleti russi era il Turinabol, somministrato per via orale, un farmaco creato nell’ambito di un altro programma di doping sponsorizzato dallo stato nella Germania Est durante gli anni ’70. Già al momento della sua visita in Inghilterra, Rodchenkov sapeva che, molto probabilmente, gli atleti russi sarebbero stati pescati ai controlli di Londra 2012. Ed infatti dei 140 atleti squalificati a Londra 2012, più di un terzo furono russi.

Ma nel 2012 Rodchenkov stava già passando a un nuovo regime farmacologico, noto come il cocktail Duchessa, contenente tre steroidi anabolizzanti: oxandrolone, metenolone e trenbolone, un farmaco usato per aumentare la crescita degli animali da allevamento. Ai giochi invernali di Sochi, il cocktail veniva preso con l’alcool per favorire l’assorbimento – whisky Chivas per gli uomini, vermouth per le donne. Veniva passato per la bocca prima di essere sputato: la sostanza entrava nel corpo attraverso le cellule della guancia.

Se prima la macchina antidoping russa somministrava il doping durante l’allenamento, questa volta il cocktail Duchessa veniva preso anche durante le gare. Come descritto nel documentario Icaro, i campioni di urina dei russi venivano poi fatti uscire dal laboratorio Wada attraverso un foro nel muro e scambiati con campioni puliti che seguivano lo stesso percorso.

Rodchenkov – che era stato incarcerato solo tre anni prima – fu assegnato dal governo russo all’Ordine dell’Amicizia. Ma il momento d’oro – racconta la BBC – durò poco. Prima un’indagine televisiva tedesca nel dicembre 2014 e poi una successiva indagine Wada, portarono alla formalizzazione delle accuse nel 2015: doping di stato.

Rodchenkov afferma di essere stato avvisato da un amico che lavorava al Cremlino che la sua vita era in pericolo, quindi ha fatto le valigie, ha salutato la moglie e i figli ed è scappato negli Stati Uniti.

Se fosse rimasto in Russia, Walden dice di sapere come sarebbe andata a finire. Nel giro di due settimane non molto tempo dopo la sua fuga, due ex capi dell’Agenzia antidoping russa (la Rusada), Vyacheslav Sinev e Nikita Kamaev, morirono in circostanze sospette.

Dick Pound, presidente fondatore della Wada dice:

“Beh, faceva parte del sistema, era un cattivo. Ma ha rivelato tutto pagandone un grosso prezzo personale: vivrà con apprensione per il resto della vita, con la paura che la Russia lo trovi e lo riporti in patria. Non so se questo lo rende un eroe, certamente lo rende coraggioso”.

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