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Anche lo Scarabeo diventa anti-razzista: 226 parole offensive bandite dai tornei

Lo racconta il New York Times. La lista ammessa per le competizioni ufficiali contiene 192.111 termini, alcuni dei quali sono insulti. Ora non saranno più ammessi, ma alcuni giocatori protestano: “E’ un gioco di numeri, il significato delle parole non conta”

Anche lo Scarabeo diventa anti-razzista: 226 parole offensive bandite dai tornei

“Le parole sono importanti”, diceva Nanni Moretti. E nel 2020 lo sono ancora di più. L’antirazzismo verbale è diventato un movimento ormai trasversale che sta tentando di “correggere” il vocabolario mondiale nel rispetto delle diversità. Non la scampa più nessuno, dopo decenni di lotte persino i Washington Redskins saranno costretti a cambiare nome, perché “pellerossa” è offensivo. In questo contesto non poteva cavarsela il gioco delle parole per eccellenza, lo Scarabeo. Che è anche uno sport, negli Stati Uniti: ci sono tornei, ci sono classifiche, c’è l’associazione giocatori professionisti. E c’è, soprattutto, la lista delle parole ammesse al gioco, quelle che i più bravi riescono ad utilizzare in combinazione per racimolare quanto più punti e possibile. Tra un po’ dai 192.111 termini della lista attuale bisognerà sottrarne 226, ritenute offensive e sgradevoli.

Lo racconta il New York Times. La richiesta arriva dalla North American Scrabble Players Association. Hasbro, che possiede i diritti di Scrabble nel Nord America, ha comunicato che l’associazione dei giocatori ha “accettato di rimuovere gli insulti dalla lista di parole per i tornei di Scrabble, che sono gestiti esclusivamente dalla NASPA”.
John Chew, amministratore delegato dell’associazione, è d’accordo. “È la cosa giusta da fare”, ha detto.
Julie Duffy, portavoce di Hasbro, ha anche affermato che l’azienda produttrice del famoso gioco da tavolo modificherà le regole ufficiali “per chiarire che insulti non sono ammessi in nessuna forma nel gioco”.

Il gioco che Hasbro vende nei negozi al dettaglio non include insulti nel suo dizionario dal 1994. Ma l’associazione dei giocatori, uno degli organi di governo più importanti nello Scarabeo agonistico, li ammette, perché “fanno parte della lingua inglese”. E soprattutto, il principio-guida per i giocatori è che sono i punti, non il significato delle parole, che ti fanno vincere una partita.

Per molti giocatori, anche neri, questa è infatti una decisione che non c’entra col gioco. Le parole per loro sono solo uno strumento per accumulare punti. Non lanciano messaggi. Ma ora, mentre le persone negli Stati Uniti e in molte parti del mondo portano avanti campagne contro il razzismo sistemico, i monumenti, i nomi delle squadre e le regole intoccabili di un gioco da tavolo finiscono sotto esame.

“È molto difficile per molte persone capire perché gli insulti sono ancora accettabili in Scrabble”, dice Stefan Fatsis, autore di un libro sullo scrabble competitivo. “Ma è altrettanto difficile per loro capire perché “qi” e “aa” sono parole”.

Noel Livermore, un giocatore professionista nero della Florida si oppone alla rimozione di qualsiasi parola: “Io devo segnare punti, e su quel tabellone non hanno alcun significato. Scrabble è un gioco di numeri travestito da gioco di parole”. Quando gli avversari usano un insulto sul tabellone contro di lui, nemmeno ci fa caso, dice. Ma una volta ricorda di aver usato un’oscenità giocando contro una donna. “Mi sono scusato”, racconta. “Ma ho bisogno di fare punti. Non perderò la partita per questo”.

John McWhorter, un professore nero di linguistica alla Columbia University, ritiene che i giocatori neri come Livermore dovrebbero essere quelli a decidere. Altrimenti, ha detto, la proposta è semplicemente un esercizio di pochi uomini bianchi che “testimoniano la loro bravura come antirazzisti”. “Ma una cosa che mi preoccupa è che stiamo insultando feticci. Qual è la prossima cosa che non possiamo usare e come decidi cos’è un insulto?”.

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