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Commisso lancia la sfida dei maverick a De Laurentiis (anche per Gattuso)

In un anno ha conquistato Firenze (anche Renzi e in parte Nardella). Vuole lo stadio, il suo vice contende a De Laurentiis il posto in Lega e in panchina sogna il conterraneo Rino

Commisso lancia la sfida dei maverick a De Laurentiis (anche per Gattuso)

Il decennio di De Laurentiis

Quando il Napoli risalì in Serie A, nel 2007, la Fiorentina di Della Valle era indiscutibilmente il club in ascesa del calcio italiano. La prima delle outsider. Quell’anno si classificò sesta e senza i quindici punti di penalizzazione, sarebbe arrivata sesta. Così come, nel 2010, senza l’arbitro Ovrebo, avrebbe forse l’eliminato il Bayern Monaco negli ottavi di Champions.

Ad Aurelio De Laurentiis riuscì, nel giro di pochi anni, il sorpasso tra i maverick del calcio italiano. Cominciò lui ad affermarsi, lui e il suo Napoli. A partire dal terzo posto raggiunto con Mazzarri nel 2011 e che valse la prima qualificazione del club alla Champions League (la terza se consideriamo la Coppa dei Campioni). Il decennio 2011-2020 è stato il decennio dell’affermazione del Napoli di De Laurentiis. Ovviamente ragioniamo qui al netto del cicaleccio locale.

In nove campionati, il Napoli si è classificato quattro volte secondo, tre volte terzi, due volte quinto. Ha partecipato a sei Champions. Ha vinto tre trofei – due Coppe Italia e una Supercoppa italiana – e domani si gioca il quarto.

Ha spodestato anche le milanesi che hanno vissuto periodi di profondo smarrimento dopo l’abbandono di Moratti e Berlusconi. Ha avuto il torto, la sfortuna, chiamatela come volete, di trovarsi di fronte allo strapotere della Juventus di Andrea Agnelli. Si è giocato con la Roma di Pallotta il ruolo di seconda forza del calcio italiano. Tra i nuovi presidenti, è stato – con Lotito – senza dubbio il più forte. Ha scalato posizioni e si è affermato. Ha portato in Italia giocatori come Higuain, Lavezzi, ha lanciato Cavani, ha fatto scoprire al calcio mondiale Sarri, ha avuto in panchina mostri sacri come Benitez e Ancelotti. Non c’è paragone con nessun altro. Cairo, calcisticamente parlando, è una figura mediocre. L’Udinese di Pozzo, che pure ha vissuto stagioni memorabili, vivacchia dal 2013 (quinto posto) nei bassifondi della classifica. La Sampdoria ha perso Garrone. Zamperini – il suo Palermo arrivò quinto nel 2007 e nel 2010 – si è eclissato.

Insomma il Napoli è diventato una forza del campionato. Al punto che un sesto posto viene comprensibilmente vissuto come un campionato disastroso.

Il primo anno di Rocco

Tra i presidenti citati prima c’è anche Della Valle la cui stella si è via via offuscata, fino a vivere gli ultimi anni in aperto conflitto con la tifoseria. Da pochi giorni, Rocco Commisso ha festeggiato il primo anno di presidenza della Fiorentina. Di Commisso si parla poco. L’Italia fatica a comprendere la sua forza imprenditoriale. Si è fermata al classico eloquio italo-americano. Nella annuale classifica dei patrimoni di Forbes, Commisso si è classificato al posto 383 con un patrimonio da 4,5 miliardi di dollari. Il 383esimo uomo più ricco della terra. Non male. In Serie A soltanto l’interista Zhang Jindong lo supera, con 7,7 miliardi. Qualcuno scrive che è anche pieno di debiti ma non è questo il punto.

Il punto è che Commisso si candida a diventare il nuovo De Laurentiis del calcio italiano. Con l’obiettivo del nuovo stadio, a Firenze ha praticamente monopolizzato il dibattito cittadino. Ben più di come è avvenuto a ondate con De Laurentiis. E anche molto più rapidamente. “Fast fast fast” è il suo motto. E il primo bilancio a Firenze viene considerato – anche da lui – in chiaroscuro proprio perché non ha ancora certezze sul nuovo stadio. Il tema è a giorni alterni l’apertura dei quotidiani locali.

Il tema e lo svolgimento dello stadio lo conosciamo bene. Commisso vorrebbe uno stadio contemporaneo, con annessi centri commerciali. L’obiettivo numero è la ristrutturazione del Franchi ma c’è la ferma opposizione della Soprintendenza. È un’opera di Nervi, non si può toccare o comunque non come vorrebbe il presidente della Fiorentina. Che ha fatto redigere anche il progetto del nuovo stadio, con le curve decisamente più vicine e la copertura. Non si può fare. Il soprintendente ha detto: “Anche il Colosseo era uno stadio, non si può toccare”. Effettivamente chissà se il Colosseo coperto avrebbe avuto lo stesso successo. Commisso ha detto che col soprintendente nemmeno ci parla: “A Bologna le autorizzazioni le danno, perché a Firenze no?”.

Al di là della disputa in sé e delle alternative – ora si parla con insistenza dello stadio a Campi Bisenzio a 14 chilometri dal centro storico di Firenze – Commisso è riuscito a catalizzare l’opinione pubblica e a ottenere il consenso anche di parte della politica.

L’hashtag #iostoconrocco

A Firenze ha spopolato l’hashatg #iostoconrocco. Persino il sindaco Nardella si è fatto fotografare dietro lo striscione #iostoconrocco anche se da New York non l’hanno presa benissimo: “ma come? Prima ci ostacola e poi si fa fotografare così”, questa in sintesi la reazione. Staconrocco Matteo Renzi, staconrocco il renziano Carrai presidente dell’aeroporto. Sui giornali fiorentini è comparso l’architetto Zavanella che da noi ha imperversato per anni. Al Corriere Fiorentino hanno intervistato persino il console americano a Firenze – Wohlauer – per spiegare che negli Stati Uniti funziona diversamente,

da noi governatori e sindaci cercano gli imprenditori per offrirgli le condizioni migliori per investire. Anche i Comuni? Sì: soprattutto quelli grandi, hanno uffici ad hoc per attrarre investimenti. E sullo sport c’è una forte competizione: si arriva a “scippare” squadre che scappano via nella notte per un’altra città, crudele per i tifosi. Alcuni sindaci mettono tasse per finanziare infrastrutture o agevolare l’arrivo di impianti o società sportive ma anche semplici aziende, come mi ha raccontato un imprenditore italiano: veniva chiamato un giorno sì ed uno dal governatore dello Stato: “Allora, di cosa hai bisogno per insediarti qua?”

A Firenze Commisso è oggi considerato il principale collettore di energia, oltre che di soldi. Anche Commisso, ovviamente, ha sempre chiarito che la Fiorentina è un’impresa. E che le sue imprese, quindi, devono sempre rispondere a criteri di bilancio. Questo è un prerequisito per lui. Adesso la città è tutta con lui. Tifoseria compresa. Poi si vedrà.

L’assalto al Palazzo

Dopo appena un anno – «fast fast fast» – Commisso ha capito che in Italia tutto passa dalla politica. Dal fatidico Palazzo. Il vecchio Palazzo più che Palazzo Vecchio. E a Napoli è passata sotto silenzio la candidatura al Consiglio di Lega di Joe Barone il braccio destro di Rocco. Poltrona per cui è in lizza anche De Laurentiis. Barone è l’uomo che la scorsa estate con un discorsetto sull’autobus, a New York, fece capire al giovane Chiesa che era meglio se si metteva in riga. Metodi italoamericani, ironizzò parte della stampa italiana.

Barone ha presentato la propria candidatura per offrire al calcio italiano il background dell’imprenditoria statunitense. La Nazione dà conto delle manovre politiche dei viola. Vedremo come finirà. Il direttore di Tuttosport Jacobelli lo dà praticamente per certo. Ma l’attacco è stato portato, in maniera ufficiale. È l’atto simbolico del tentativo di scalata. Commisso non vuole essere un parvenu del calcio italiano. Fin qui il campionato della Fiorentina è stato piuttosto anonimo, è tredicesima con appena cinque punti di vantaggio su Genoa e Lecce terzultimi. Qualche fuoco d’artificio c’è stato, quanto basta per un primo anno: l’arrivo di Ribery, la vittoria a San Siro, quella a Napoli, i pareggio interni con Juventus e Inter. Già la prossima stagione non basteranno.

E proprio per la prossima stagione la Fiorentina non ha ancora scelto l’allenatore. Iachini, subentrato a Montella, viene definito sotto esame. Circolano i nomi di Spalletti, di Emery, del gettonato De Zerbi, di Juric.

È innamorato di Gattuso

Ma il vero allenatore preferito da Commisso è un altro: è Rino Gattuso. A lui consegnerebbe le chiavi della Fiorentina. Il numero uno viola è innamorato di Gattuso. Tra i due c’è anche una sintonia geografica. Sono entrambi calabresi. Seppure non vicinissimi. Sono 233 i chilometri che separano Marina di Gioiosa Jonica da Corigliano Calabro terra di Gattuso.

Alla Fiorentina stanno aspettando per vedere come finirà tra il Napoli e Rino. Il Mattino ha scritto (l’ultima stamattina) un paio di volte che il rinnovo del tecnico è tutt’altro che scontato. Che all’allenatore non piacciono tutte quelle clausole e penali che De Laurentiis vorrebbe inserire. E anche nell’intervista al Corriere dello sport il presidente, al di là delle frasi di rito (“ci somigliamo”), non ha fatto proprio una dichiarazione d’amore. Ha detto testualmente:

Confermato? Ma che domanda è? Gli avevo fatto un contratto di un anno e mezzo nel quale era contemplata la via di fuga per entrambi. Non abbiamo avuto bisogno di ricorrervi. Se facciamo bene in coppa Italia e in Champions e recuperiamo qualche posizione in campionato, gli do appuntamento a inizio agosto a Capri dove potremmo parlare di un allungamento di tre, quattro stagioni. Carlo Verdone è con me da vent’anni, in esclusiva. Tra persone che si stimano i contratti hanno un valore relativo, contano le motivazioni, gli stimoli, ognuno deve essere libero di decidere se proseguire o meno.

È francamente dura chiedere altro a Gattuso. È in finale di Coppa Italia contro la Juventus. Si può vincere ma si può anche perdere. Così come suona bizzarro chiedergli di eliminare il Barcellona in Champions. O recuperare nove/dodici punti all’Atalanta in campionato. Dopo un inizio disastroso, Gattuso ha invertito la rotta sua e della squadra. Ha battuto Lazio, Juventus, Inter. E, al di là dei proclami, ha mostrato grande pragmatismo. Anche in questo ha mostrato intelligenza. Non si è addentrato nel dibattito sul calcio estetico, ufficialmente ne è un adepto poi però non disdegna di piazzare un bel pullman quando c’è da farlo. È, in questo, un erede di Lippi. Il Mondiale nel 2006 fu vinto grazie alla nobile arte della difesa. Non a caso il Pallone d’oro se lo aggiudicò Cannavaro davanti a Buffon.

Gattuso ha condotto il Napoli a giocarsi una finale dopo cinque anni e mezzo. L’ultima volta fu a Doha, con Benitez in panchina, proprio contro la Juventus. E poi c’è il lavoro fatto con i calciatori. In una condizione oggettivamente difficile. Ha anche preso dei rischi, come sul portiere. E il gol del pareggio contro l’Inter – su assist di Ospina – gli ha dato ragione.

Napoli per Gattuso è un’esperienza col segno positivo, a prescindere da come finisca con Juventus e Barcellona. Così come fu positiva quella al Milan. È un allenatore che ha superato due esami complicati. Ed è naturale che sia ambito da altre squadre. Lui, nella peggiore delle ipotesi, un contratto col Napoli ce l’ha. Per un altro anno. Ma a Firenze, anzi a New York, pensano che non tutto sia ancora chiuso.

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