«BreakTheSilence», la campagna social di due ragazze torinesi contro le insinuazioni sessiste
Su Instagram hanno invitato le loro coetanee a raccontare abusi e violenze. "Perché questa non è una battaglia di quattro sfigate, ma una condizione che tutte noi conosciamo bene". E sono fioccate centinaia di testimonianze

Su La Stampa la campagna social lanciata da due studentesse torinesi contro le discriminazioni di genere. Contro tutte le battute volgari, le insinuazioni e le proposte a sfondo sessuale a cui le donne sono sottoposte. Ovunque. Dalle occhiate fastidiose e i fischi per strada fino alle botte vere e proprie.
Si chiama «BreakTheSilence», «Rompi il silenzio». A lanciarla sono state Mariachiara Cataldo e Francesca Valentina Penotti. Studiano Economia e Management a Torino, hanno 23 anni. Hanno deciso di dire basta. E in poche ore hanno raccolto centinaia di messaggi di donne come loro. Messaggi che svelano il maschilismo spinto a cui le donne sono sottoposte ogni giorno.
Mariachiara e Francesca spiegano:
«L’altra sera siamo uscite tra amiche. Stavamo camminando e ci hanno urlato ‘che bei culi, mi scopo la bionda’».
È stata questa la scintilla che le ha spinte a lanciare la campagna, partita con un video postato su Instagram:
«Raccontateci quando siete state vittime di abusi o violenze. Perché questa non è una battaglia di quattro sfigate, ma una condizione che tutte noi conosciamo bene».
E le testimonianze hanno iniziato a fioccare. Dalla ragazza filmata dal fidanzato in atteggiamenti intimi e poi finita sul web a chi è stata picchiata solo per aver rifiutato un bacio. Ma sono tante le ragazze che denunciano pressioni psicologiche e fisiche e la mortificazione che porta tante a sentirti brutte, stupide, a non riuscire più a guardarsi allo specchio.
Le ragazze puntano il dito su quelle frasi pronunciate ovunque che non possono essere considerate solo battute.
«La colpa è tua. Guarda come ti vesti. Chissà cosa gli hai fatto credere». Oppure «Ti arrabbi troppo. Ti ha fatto solo un complimento. Non è che hai il ciclo?».
Non si può sminuire. E’ ora di dire basta. Perché tutto questo è discriminazione di genere. Questa è l’espressione giusta.