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Riccardo Bigon: “Sono sempre stato il figlio di papà. A Napoli mi scrissero “moccioso raccomandato“»

Bella intervista al Foglio Sportivo: «Anche a scuola lo ero. Papà mi ha sempre fatto capire il valore dei soldi, aveva una Regata. La malattia di Mihajlovic ha segnato tutti noi”

Riccardo Bigon: “Sono sempre stato il figlio di papà. A Napoli mi scrissero “moccioso raccomandato“»

Sul Foglio Sportivo, Giorgio Burreddu intervista Riccardo Bigon, figlio di Alberto. Un’intervista bellissima, a tratti romantica, come Burreddu definisce il calcio di Bigon, appunto. Ci sono i ricordi di quando era bambino e frequentava il negozio di coloniali del nonno Olindo, ad esempio, al quale dice di aver “rubato la semplicità”. Ma anche il pensiero del padre Alberto, “non un dottore o un avvocato”, che da giocatore segnava con il Milan e da allenatore di Maradona ha vinto con il Napoli.

Sono cresciuto con la mentalità del classico lavoratore veneto, lavora e fai, tira su le maniche e fai. A me e mia mamma Valeria non ci è mai mancato nulla, ma non abbiamo mai avuto la Ferrari, papà girava con una Regata, al massimo col Golf. La mia prima auto fu una Fiat Uno, me la comprò papà. Il valore dei soldi l’ho sempre avuto e l’ho tenuto stretto, il telefono lo cambio quando si rompe, non sono mai entrato nel consumismo. E il giro di soldi che vedo nel nostro mondo, nel mondo del calcio, di cui in parte usufruisco anch’io, mi tocca dentro”.

Da quattro stagioni Bigon è al Bologna. Racconta il giorno in cui a Mihajlovic dissero che aveva la leucemia. Era il albergo. Lo chiamò Di Vaio per dargli la notizia.

“Nei giorni precedenti i dottori ci avevano detto che poteva essere qualcosa di grave, qualcosa di brutto. Ma quello fu un colpo devastante. Il cervello mi andò in tilt, per dieci, quindici secondi non pensai a niente, la testa vuota, io immobile sul letto. Uno choc. E adesso cosa facciamo? Ma che cazzo te ne frega di cosa facciamo noi: che cosa fa lui? Ho pensato alla sua famiglia, alla mia. Non c’era nessuna procedura per una cosa come quella, nessun programma a cui attingere. Sono esperienze che ti segnano”.

Tornò subito a Bologna, per stare vicino ai giocatori. Era lui a tenere insieme tutto. A sostenere i calciatori quando, durante i collegamenti di Sinisa dall’ospedale via Skype, arrivava la voglia di piangere. L’incontro con Mihajlovic, racconta, gli ha cambiato la vita.

“Ho un’immagine del mister che mi è rimasta dentro. La sera della salvezza, a Roma, l’anno scorso. La cena si trasformò in una festa, c’era la musica, i giocatori cantavano e ballavano e lì ho visto Sinisa, un altro Sinisa, l’uomo che magari a volte sembra duro, impassibile, e invece è dolce. La situazione lo consentiva, non eravamo più nel frullatore come dico sempre io. In quel preciso momento di relax l’ho visto sorridere di un sorriso inaspettato, disarmante, il sorriso che gli illumina la faccia ed è contagioso. Gli allenatori hanno sempre qualcosa in più, altrimenti non avrebbero il ruolo che hanno. Sinisa è ironico, in tanti ci cascano: lui dice una cosa forte, ruvida, ma è un tranello, è già lì che sta per ridere con la bocca storta”.

Bigon iniziò facendo tirocinio in uno studio legale di Padova, non voleva lavorare nel calcio. Poi lo chiamarono come responsabile organizzativo alla Reggina e, dopo poco, finì sulla panchina con Mazzarri.

“A un certo punto il presidente mi disse: ‘Vuoi fare il diesse?’. Lì dovetti fare una scelta”.

Ci pensò. Aveva due obiettivi:

“Non sporcare il nome di mio padre, il nome che ho addosso, sinonimo di signorilità, di pulizia, e poi vedere realizzato un piccolo sogno di tutti i figli di, cioè farlo diventare padre di. Sono sempre stato il figlio di Bigon, a scuola, quando andavo a giocare a pallone. Ah, sei il figlio di Bigon. A Napoli una delle prime partite mi scrissero: ‘Moccioso raccomandato non sei degno di parlare del nostro passato’. Ma la verità è che un padre del genere ti fa vedere chi sei. Una volta, anni dopo, un giornale pubblicò una foto di me e mio padre. La didascalia diceva: ‘Albertino papà di Riccardo’. Bene. Secondo obiettivo raggiunto. A lui ho rubato la capacità di gestire le cose”.

p.s Lo striscione fu esposto dopo la sua dichiarazione: “Prima del nostro arrivo, il Napoli con il Liverpool giocava alla Playstation”. Dichiarazione che fece dopo il sorteggio di Europa League, nel solito clima di polemiche che quasi sempre ha accompagnato la presidenza De Laurentiis Era il settembre 2010.

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