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Ci si può chiamare Elkann e girare un buon film

L’opera prima di Ginevra – “Magari” – fortemente autobiografica. Tre bambini tra Roma e Parigi, con genitori separati, e il cane Tenco

Ci si può chiamare Elkann e girare un buon film

Nel mondo del cinema è cambiato tutto. Durante la prima fase della pandemia da Covid ci siamo arrangiati rifugiandosi in Netflix, come fa un naufrago con la zattera, ora rimettiamo il naso fuori e troviamo che il cinema ha preso la strada dello streaming assoluto e che anche opere prime attese come “Magari” di Ginevra Elkann – presentato a Locarno 2019 – vengono trasmesse gratuitamente su Raiplay. Questo in attesa del 15 giugno con la riapertura delle sale – ma quali sale riapriranno? – e con un’estate anni ‘50 che ci aspetta con il drive-in…

Seppure sui social la Elkann venga attaccata per essere una congiunta importante – ma anche la cosceneggiatrice Chiara Barzini ha ascendenti illustri – non ci sottraiamo a dire la nostra sul suo film che ha tutte le caratteristiche dell’opera prima, compresa la vena fortemente autobiografica.

Il film narra dall’adolescenza di tre fratelli Alma (9 anni, Oro De Commarque), Sebastiano (Seb, Milo Roussel) e Jean (Ettore Giustiniani) che vengono sballottati da Parigi, dove vivono con la madre Charlotte (Céline Sellette) e con il patrigno Pavel (Benjamin Baroche) che li ha convertiti alla confessione ortodossa, ad una Roma natalizia del padre, lo sceneggiatore Carlo (Riccardo Scamarcio), che ora ha una nuova compagna nella cosceneggiatrice Benedetta (Alba Rohrwacker).

L’io narrante è la stessa Alba che ricalca chiaramente la Elkann e che è dotata di un’immaginazione fortissima che vorrebbe che la madre Charlotte, ora incinta di Pavel, si ricongiungesse con Carlo sceneggiatore di modesta qualità che deve riscrivere un film. Questa banda Malaussène si ritrova nel villino di Sabaudia dell’amico Bruce (Brett Gelman) e presumibilmente nella seconda metà degli anni ’70 tenta una convivenza piena di indifferenze: Carlo e Benedetta in forte contrasto professionale e di vita ed i ragazzi ‘orfani’ di madre e con un padre che pensa più al suo lavoro ed al cane Tenco. La vita a Sabaudia scorre secondo queste coordinate sghembe e mentre Sebastian e Jean navigano nei loro iperurani fatti di superuomini e di preghiere, Alma funge da collante emotivo della famiglia allargata. Alcuni accadimenti portano la routine ad un punto di rottura ed al finale del film.

Cosa dire della prima opera della Elkann? L’intimismo e l’autobiografia che la agitano sono un mix che richiamano fortemente quegli anni: che noi abbiamo vissuto e sono ben rappresentati. Il fulcro del film è nel titolo che ricorre come un denominatore comune di una storia che è stata solo desiderio e che ora nel tempo è diventata sogno. Le musiche di Riccardo Sinigallia sono perfette e la spiaggia di Sabaudia ci ricorda Moravia e Pasolini. La Elkann l’aspettiamo alla seconda prova di regia: la prima è superata nella logica dell’Amarcord.

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