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A Codogno riapre il baseball ma i giocatori hanno paura: «Non vogliamo ammalarci»

Sulla Gazzetta la ripresa degli allenamenti dei Giaguari. «Il virus ti resta dentro. Abbiamo visto cosa vuol dire ammalarsi e non ci sembra il caso rischiare»

A Codogno riapre il baseball ma i giocatori hanno paura: «Non vogliamo ammalarci»

Sulla Gazzetta dello Sport la ripresa del baseball a Codogno. Una delle zone più martoriate dall’epidemia di Covid-19. Tra la via Emilia e il Po. È da lì che è iniziato il contagio in Italia.

Per questo comune, dove si contano quasi 200 morti per il virus, la tradizione del baseball è un fiore all’occhiello. Dura da 57 anni. La squadra del comune, i Giaguari, è tornata ad allenarsi in questi giorni.

Ma non è così semplice. I giocatori hanno paura, hanno vissuto l’inferno, lo hanno toccato con mano.

L’allenatore dell’Under 18, Michele Nani, spiega:

«In questi mesi di lockdown siamo sempre rimasti in contatto, era un modo per restare uniti. Abbiamo dato degli esercizi da fare a casa, un modo più che altro per distrarsi. Sono state settimane difficili, il baseball è uno sport fisico, ma la concentrazione mentale fa la differenza. Ecco perché quando la società ha deciso di ripartire, dopo il protocollo messo a punto dalla federazione e l’ok del governo, abbiamo sondato l’umore di tutti. Nessuno doveva sentirsi obbligato a venire al campo, tre di noi ancora non se la sentono. E li capiamo. Tra i giocatori c’è chi ha perso la nonna, altri hanno avuto familiari ammalati. Mattia, il paziente uno, è un mio amico fraterno. Insomma, ci alleniamo, ma sappiamo bene che non è una passeggiata. Il campionato? L’idea è quella. Vedremo, noi siamo qui».

Uno dei membri della squadra, Matteo Rasoira, dichiara:

«Il virus? Le due settimane di zona rossa sono state le più surreali della mia vita. Non posso spiegarle, non potete capire. È una cosa che ti resta dentro. Poi ho ripreso a lavorare, faccio l’elettricista. Ma solo il vaccino ci farà dormire sonni tranquilli».

Stesso pensiero del capitano, Beppe Corio:

«Vero, il suono delle sirene mi ronza ancora nelle orecchie, a volte lo sento anche se non c’è nessuna ambulanza in giro. Anche per me il lavoro, sono perito chimico, è stata un’ancora».

Entrambi ammettono che avevano dubbi sulla ripresa degli allenamenti, ma che il protocollo adottato li ha convinti. Ma tornare a giocare è una cosa diversa.

«Su una eventuale partita le cose cambiano, la paura è tanta. Abbiamo visto cosa vuol dire ammalarsi e non ci sembra il caso di rischiare. Valuteremo, ma siamo onesti: il Covid non è un avversario come gli altri. Il segnale di speranza lo capiamo, la salute però viene prima di tutto. E il baseball può anche aspettare».

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