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Una gip di Milano: «Ricoverata con mio marito. Un’intera generazione non c’è più»

Su Questione Giustizia il racconto di Ezia Maccora: “Non è un’esperienza personale, è un grande lutto che andrà elaborato con un momento collettivo”

Una gip di Milano: «Ricoverata con mio marito. Un’intera generazione non c’è più»

Sul sito Questione Giustizia la testimonianza di Ezia Maccora. Presidente aggiunto dell’ufficio gip del Tribunale di Milano, si è occupata anche del caso Yara Gambirasio. Risultata positiva al Covid-19 racconta la sua storia.

L’8 marzo ha iniziato ad accusare i primi sintomi del virus, scambiati per quelli di una comune influenza, anche se sempre più intensi. Poi, dopo una settimana, il fiato corto, la corsa in ospedale per fare la Tac, su suggerimento del marito, medico all’ospedale di Seriate. Il responso: polmonite da Covid-19. E il ricovero. Un ricovero per due, però. Perché anche il marito si sottopone a Tac e risulta positivo. Una doppia con ossigeno annesso. Mentre la figlia, sola a casa, viene messa in quarantena.

«La tac conferma ciò che fino a quel momento non avevo voluto ammettere a me stessa. Non ho la forza di reagire, rispondo stringatamente all’infermiera per l’anamnesi e mi sdraio nel letto. Poco dopo arriva il medico responsabile del reparto e mi comunica che nel letto accanto ricovererà anche mio marito, che nel frattempo aveva fatto la Tac ed era risultato positivo. Non avevo neanche la forza di alzare la testa dal cuscino, restavo in silenzio, il mal di testa mi stordiva e la febbre alta faceva il resto. L’effetto del paracetamolo non copriva tutto l’intervallo necessario per sedare la febbre, allora le infermiere ricorrevano al ghiaccio, come nei tempi antichi quando i bambini avevano la febbre alta».

La Maccora racconta i primi giorni di malattia, il diverso decorso per lei e il marito, dovuto alla differente fase della malattia. Le giornate scandite dai tempi dei prelievi («ho scoperto quello arterioso dolorosissimo»), dalla terapia farmacologica, dalla misurazione della temperatura e della saturazione. Le notti dal suono delle sirene.

Le persone conosciute che man mano iniziano ad essere ricoverate nel reparto di terapia sub-intensiva. Le visite dei colleghi medici al marito, da cui il giudice carpisce informazioni su ciò che accade intorno. Poi il miglioramento delle sue condizioni. Le prime 72 ore senza febbre.

“Certo non è che mi sentissi un fiorellino, l’olfatto ed il gusto mi avevano abbandonato, la stanchezza persisteva cosi come i dolori articolari in tutto il corpo, ma anche grazie all’aiuto dell’ossigeno cominciavo a vedere la luce alla fine del tunnel in cui ero entrata”.

Ma proprio in quel momento, la situazione del marito si aggrava. Febbre alta, improvvisa perdita di peso.

“Nel giro di una settimana ha perso 15 kg. Veniva alimentato per via parenterale ma anche quello era un problema per la difficoltà di trovare un adeguato accesso venoso. Un caro amico medico mi ha sostenuto telefonicamente dandomi tutte le indicazioni utili ad aiutarlo e spingerlo a reagire”.

Anche il marito riesce per fortuna a venirne fuori. Lei viene dimessa. Continua a casa le cure. Il marito resta ancora in ospedale. Racconta di una ripresa lunghissima, ancora non terminata. Il mantenimento della distanza rispetto alla figlia. I pensieri per il marito ancora ricoverato.

La Maccora spiega perché adesso ha deciso di raccontare tutto.

“Il dolore e la sofferenza provata e vista non possono restare confinati all’esperienza personale. Ci hanno lasciato molte persone a noi care, un’intera generazione non c’è più e sono andati via senza il conforto dei loro cari. Le immagini delle bare che lasciano il piazzale del cimitero di Bergamo alla ricerca di altri lidi per la cremazione resteranno per sempre scolpiti nella mia mente e nel mio cuore. In quelle bare ci sono anche degli amici e delle persone care. Ci sarà bisogno di un momento collettivo di elaborazione di questo grande lutto che ci ha colpito. Nessuno può farcela da solo. Le ferite dovranno ricomporsi nel tempo grazie all’amore fraterno tra tutti noi”.

Il giudice racconta la forza della figlia, il suo spronare i genitori a reagire con le videochiamate, Il calore di amici, colleghi e familiari. “Un cordone di amore e di aiuto che è stato prezioso”.

Il ringraziamento ai medici.

“Abbiamo un sistema sanitario straordinario che deve essere difeso e potenziato. Solo grazie alla competenza, alla generosità, all’abnegazione dei medici e di tutto il personale sanitario la tragedia che ci ha colpito è stata contenuta. Tante persone ogni giorno sono in prima linea e rischiano il contagio per prendersi cura degli altri e offrire loro una possibilità di vita. Tutte queste persone meritano un ringraziamento collettivo, senza di loro oggi io, per prima, non sarei qui a raccontare quello che mi è accaduto”.

Una testimonianza, dedicata, scrive,

“a tutte le persone che oggi purtroppo non sono più con noi, a quelle che ancora lottano per guarire e a tutte e tutti voi, alle nostre fragilità ed al nostro coraggio, per fare memoria e per non abbassare la guardia, non è ancora possibile…”.

 

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