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Tebas: siamo certi di finire la stagione, anche se alle piccole piacerebbe cancellare tutto

Il presidente della Liga: “Nessuna grande vuol chiudere ora, ci perderemmo un miliardo di euro. Tutti stiamo perdendo soldi, quindi anche i calciatori”

La certezza inscalfibile del grande calcio, che va oltre i dubbi di un mondo chiuso in casa per la pandemia, sta tutta nelle parole di Javier Tebas, il Presidente della Liga: “Al momento, di cancellare la stagione non se ne parla proprio. È un’ipotesi che non contempliamo nemmeno. Noi vogliamo finire la stagione e siamo sicuri che lo faremo. Probabilmente a porte chiuse, magari, ma la stagione va finita”.

E’ la linea dura del governo del pallone, quella che non molla, della Uefa, della Fifa, che insegue i calendari e la cronaca ricalcolando tempi e modi della ripresa, mentre lì fuori si rincorrono i numeri dei morti e dei contagi. Anzi, per il Presidente della Liga “il dibattito è sterile: finché c’è tempo per finire la stagione quello dev’essere l’obiettivo”

Ma di più: “E’ curioso, il caso vuole che i club che vogliono chiudere qui la stagione siano quelli del fondo della classifica, quelli che lottano per non retrocedere. Posso assicurare che nessun grande o medio campionato ha intenzione di annullare la stagione, chi ne parla lo fa per interessi personali“.

Tebas parla in videoconferenza ai giornalisti internazionali, e la Gazzetta ne riporta i contenuti, che – riassumendo – vertono tutti sugli interessi, personali o meno.
Per quanto riguarda la Liga, non finire la stagione 19-20 porterebbe una perdita secca quantificabile in un miliardo di euro. Se finiremo a porte chiuse il danno economico sarà di 350 milioni di euro. Se dovessimo poter giocare col pubblico le perdite saranno comunque di 150 milioni di euro. Per quanto riguarda i diritti tv in Liga abbiamo incassato il 90% del totale. Se non dovessimo più giocare, oltre a rinunciare al 10% mancante dovremmo restituire il 18% di quanto abbiamo già incassato”.
Seguire il ragionamento del calcio è facile: basta seguire i soldi. Un vecchio adagio che funziona sempre.
Non possiamo cambiare formato delle competizioni. Perché sia a livello nazionale che a livello internazionale abbiamo venduto a oltre 100 televisioni del mondo i nostri campionati, la Liga, la Serie A, la Premier eccetera, e ovviamente la Champions League. Li abbiamo venduti con questo formato, con questo numero di squadre e questo numero di partite. Cambiare la struttura della competizione obbligherebbe alla riscrittura di centinaia di contratti. Cambiare formato a mio avviso è molto rischioso”.

Ci sono, quindi, anche le date per ripartire. Nulla è lasciato al caso:

Al momento stiamo considerando l’idea di tornare a giocare in Spagna e in altri Paesi europei il 28 maggio, o in alternativa il 6 giugno o il 28 giugno. Con queste date ovviamente c’è tempo per ricominciare ad allenarsi rispettando il protocollo di ripresa dell’attività che abbiamo disegnato per la Liga e che abbiamo mandato per conoscenza anche ad altri campionati, compresa la Serie A. Bisognerà però prima vedere cosa succederà in questo mese di aprile. Per la chiusura della stagione non vorremmo andare oltre il mese di agosto, ed è ovvio che tutto questo condizionerà il calendario della prossima stagione. Sono allo studio tre possibilità. La prima, se si parte a fine maggio è quella di giocare le competizioni nazionali in giugno e quelle internazionali in luglio. La seconda, se iniziamo ai primi di giugno, di giocare tutte le competizioni insieme fino a fine luglio. E la terza, con ritorno in campo a fine giugno, prevede i campionati in luglio e le coppe europee ad agosto. Bisognerà modificare i contratti dei giocatori in scadenza il 30 giugno così come i vari accordi di prestito. Non è semplice, ma nemmeno così complicato. Penso che i giocatori saranno d’accordo e che le varie leghe troveranno una soluzione nel rispetto della normativa generale”.

Capitolo taglio stipendi, Tebas dice che “siamo in un momento di crisi eccezionale, imprevedibile e di enorme impatto. Tutti perdono soldi, mi sembra normale che vengano ridotti anche i salari dei giocatori. In Spagna non abbiamo trovato un accordo col sindacato, la nostra trattativa si è arenata ieri. Al momento 8 club della Liga hanno chiesto l’Erte, ma nei prossimi giorni tutte le nostre squadre attiveranno protocolli di riduzione salariale, o attraverso l’Erte o con accordi individuali coi propri giocatori. Lavoriamo sul presente per salvare il futuro del calcio. E ricordo che il calcio spagnolo non ha intenzione di ricorrere ad aiuti statali, dobbiamo essere indipendenti economicamente”.

Tebas non vorrebbe abolire il Fair Play finanziario, sull’onda della crisi.

“Penso che alcune date andranno modificate, per esempio quelle relative alla presentazione di alcuni documenti o quelle dei pagamenti obbligatori prevedendo un piccolo ritardo, ma nulla di più. La struttura a mio avviso deve restare in piedi perché se qualcuno inizia a non pagare la cosa avrà un effetto domino. Se lasciassimo degli Stati investire per dire un miliardo in un club rischiamo di trasformare squadre di calcio in Stati, e personalmente non d’accordo. Si creerebbe un divario economico enorme. E poi se io lascio investire un miliardo a qualcuno e non controllo il suo debito il rischio economico è enorme”.

“La superlega? Era un progetto negativo senza l’impatto del Covid-19, figuriamoci ora. Sarebbe un fallimento assoluto come modello di competizione e rischierebbe di mettere ancora più legna in questo già enorme falò della crisi portando con sé rischi grandi economici”.

 

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