«Solo la partita allena la partita. Il calcio con distanziamento sociale non è vero allenamento»

Il capo dei preparatori atletici dell'Udinese al CorSport: «Servirebbe un mese di preparazione prima di giocare. Quando la Nfl si fermò quattro mesi, ci fu il record di infortuni ai tendini»

Udinese Napoli

Il Corriere dello Sport intervista Giovanni Brignardello, capo dello staff di preparatori atletici dell’Udinese. Parla delle problematiche fisiche, psicologiche e sociali che si troveranno ad affrontare i calciatori quando riprenderanno gli allenamenti. All’inizio, dice, si faranno allenamenti di calcio simulato.

«Nello scenario che si prospetta non ci alleneremo a giocare a calcio, ma estrapoleremo situazioni di tipo atletico rispettando il distanziamento, evitando il contatto fisico, dividendo in piccoli gruppi o addirittura individualmente il lavoro, annullando di fatto tutte le esercitazioni che vanno nella direzione del gioco. Cioè il possesso, le partite a campo ridotto, le situazioni difesa contro attacco. È sbagliato concentrarsi solo sull’aspetto fisico del calciatore, su come risponderanno i suoi muscoli. Perché negli anni abbiamo imparato ad allenare i calciatori con una serie di movimenti ad alta intensità finalizzati ad un obiettivo di gioco che però – stando a quanto sento – almeno inizialmente verrà a mancare».

Il problema che si troveranno a dover risolvere i preparatori sarà il poco tempo a disposizione.

«Se io ho a disposizione due settimane di allenamento con distanziamento sociale e uno di allenamento specifico e poi gioco 2 partite alla settimana per un mese e mezzo, allora non c’è logica metodologica. Niente ti allena alla partita come la partita. Lo sappiamo noi e lo sanno i calciatori. Tutti gli altri mezzi sono di supporto».

Brignardello si augura che dalla ripresa degli allenamenti alle partite passino più delle tre settimane di cui si parla.

«Ragionevolmente meno di quattro settimane sono poche, con un mese a disposizione si può ragionare».

E parla di un precedente recente in cui i calciatori sono tornati a giocare dopo due mesi di stop.

«Nella National Football League, nel 2011, ci fu un blocco di quasi quattro mesi a causa di una vertenza sindacale. Mi incuriosiva capire come era stato il rientro in campo e ho scoperto che esiste una pubblicazione commissionata dalla stessa NFL. Dallo studio saltava subito all’occhio il forte incremento di infortuni in corrispondenza con lo stop, la maggior parte di tipo tendineo. Dobbiamo aspettarceli anche noi, questo mi sembra chiaro».

E non bisogna neppure sottovalutare, aggiunge, l’aspetto psicologico.

«Si parla di un ritiro forzato di due mesi che arriva dopo l’isolamento vissuto individualmente da tutti i giocatori. Non è facile da gestire, non sarà facile risvegliare i giocatori. C’è poi un aspetto motivazionale, perché la forza di volontà deve essere continuamente sollecitata. Ci sono anche aspetti positivi. Credo che i calciatori di Serie A – senza retorica – abbiano capito che questa pandemia ha ridotto le distanze dal mondo reale. La vera fatica è un’altra, non quella di giocare a pallone».

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