Sconcerti: «Il calcio dovrebbe capire che il tempo dell’avidità è finito»

Al Corriere della Sera: «La bolla del calcio non è provocata certo dagli stipendi dei calciatori, il virus ha solo evidenziato un sistema che non funziona»

Sconcerti

Mario Sconcerti affronta sul Corriere della Sera la crisi del calcio italiano. Un discorso simile a quello di ieri pubblicato dal Guardian. Il problema non è il virus, c’era già prima. Una crisi di sistema.

Il vero problema del calcio sono i suoi debiti. Il virus è il colpo finale, una grande cassa di risonanza dietro cui mascherare con una ragione inevitabile, quasi nobile, una situazione comunque non più sostenibile.

Prosegue:

È scoppiata la bolla, bisogna ricucire, tappare, pensare e agire in modo diverso. Il taglio degli stipendi è la cima dell’iceberg. Da solo non risolve niente se non la combinazione di un bilancio. Lo dimostrano le contraddizioni che si porta dietro. Perché si dovrebbe non pagare lo stipendio a chi a marzo è stato a casa per malattia? Perché si dovrebbe non pagare lo stipendio a chi in aprile sarà in ferie forzate? Ma soprattutto perché si dovrebbe far pagare tutto il conto del debito ai giocatori, cioè agli unici che scendendo forse in campo, possono limitarlo?

Scrive che:

Questo calcio ha sfinito gente come Moratti e Berlusconi, siamo già alle seconde-terze generazioni anche di proprietari stranieri. Negli ultimi 10 anni il calcio ha moltiplicato il suo fatturato in modo fittizio. (…) L’impressione è che nella sostanza il calcio reggerà sempre perché rende ricchi tutti, è una grande società di mutuo guadagno. Ma dovremo abbassare la posta d’ingresso. E capire che il tempo dell’avidità è finito. Ma non credo ci riuscirà nessuno.

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