Il Fatto e il dibattito giurisprudenziale su come regolarsi con i fermati (un milione dal decreto): la falsa attestazione per l’identita – che prevede 6 anni – non sarebbe applicabile
Il Fatto quotidiano dedica un articolo alla questione che in questi giorni tiene banco nelle procure: che tipo di reato contestare a chi esce di casa e contravviene alle restrizioni imposte dal governo?
Il 17 marzo i denunciati sono stati ottomila.
Dall’11 (giorno del decreto di Conte) al 17 marzo le persone fermate sono state oltre un milione. Di queste, 43.595 sono state denunciate in base all’articolo 650 del codice penale, ossia per inosservanza dei provvedimenti dell’autorità. È un reato dalle conseguenze piuttosto blande: un’ammenda fino a 206 euro o l’arresto fino a tre mesi. Altre 926 sono le denunce in base all’articolo 495 del codice penale, ossia per “falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri” e che prevede la reclusione fino a 6 anni.
Ma, scrive il Fatto, su questo punto non tutte le procure sono d’accordo. Sarebbe “un reato non configurabile nei confronti di chi mente quando viene fermato”.
In una nota del 16 marzo, indirizzata ai comandanti provinciali di carabinieri, Finanza e polizia municipale, la Procura di Genova per esempio ha specificato che sull’a p p li c a z io n e dell’art. 495 “il delitto viene integrato esclusivamente dalle false attestazioni aventi a oggetto l’identità, lo stato o altre qualità della persona”. Sembra non potersi applicare quindi quando si mente sui motivi della propria uscita.
I magistrati di Roma “sono più possibilisti nel poter contestare a chi viene fermato l’articolo 483 del codice penale, il falso del privato in atto pubblico”.
Per chi sa di essere positivo al Covid-19, l’accusa è quella di epidemia, “anche se l’orientamento di alcuni magistrati è quello di contestare le lesioni”.